Come si festeggiano novant’anni? Un pranzo, una torta con tante belle candeline e magari, se ancora ci si riesce, quattro salti in balera? Perché no? Le cose però cambiano se il festeggiato si chiama Dario Fo!
Lo scorso 24 marzo lo scrittore/attore/drammaturgo/pittore, e soprattutto Premio Nobel per la Letteratura, insomma, il poliedrico Dario Fo, ha raggiunto la cifra tonda e si è omaggiato con la pubblicazione di Dario e Dio (Guanda 2016), libro da molti definito “Il Vangelo di Dario”. Una lunga confessione scritta, frutto di un intenso dialogo avvenuto con Giuseppina Manin (co-firmataria del volume), dove l’autore di Mistero Buffo ha espresso le proprie considerazioni in tema di sacro.
Da sempre Fo si considera un “ateo militante” ma “profondamente curioso delle religioni” e certo non è nuovo a testi irriverenti, quando non palesemente in odore di eresia. Anche in questa occasione, vedranno i lettori, non si è smentito: «(…) mi pare si possa affermare senza tema di smentite che anche Dio è nero. Nero, alto circa un metro e quaranta, e somigliante a una scimmia». «Un Dio scimpanzé?» «Eh sì, tanto che di certo saltava di albero in albero nel paradiso…» (D. Fo, G. Manin, Dario e Dio, Guanda 2016, p. 20).
Anche in questa pubblicazione non poteva poi mancare il contributo della compagna di vita e di lavoro Franca Rame: ecco allora comparire in un altro passo del volume il monologo che Franca compose su alcuni testi apocrifi dell’Antico Testamento e che Dario recitò il giorno del suo funerale. Un omaggio dolcemente malinconico, quasi nostalgico, dal quale però è possibile rilevare la comune visione del mondo dei due artisti, la loro affinità intellettuale, il legame inscindibile che li univa e che ha tuttora risonanze nella vita del Gran Giullare. È lo stesso Fo a raccontare, durante la presentazione del libro, al Piccolo Teatro Grassi, un commovente aneddoto-testimonianza: “In un momento di sconforto, l’Inverno scorso, la pianta di Franca nel giardino davanti casa è sbocciata all’improvviso con tre fiori distinti. Un chiaro segno della presenza di lei, un incitamento a persistere e a non mollare”.
Regalarsi, e regalarci, un libro non sembrava però sufficiente per un artista di questo calibro. È così che proprio alla vigilia dell’atteso compleanno, è stato inaugurato nell’Archivio di Stato di Verona il Musalab Dario Fo-Franca Rame, preziosa raccolta di copioni, manoscritti, disegni, bozzetti, dipinti, manifesti, copie di contratti, libri, articoli, costumi, pupazzi, marionette, scenografie dei lavori della coppia. “Ogni mese – si augura Fo – ci dovrebbero essere nuove iniziative per incentivare il pubblico a tornare e fruire il più possibile del materiale raccolto”. Ciò che però lascia sorpresi in questa vicenda è la scelta di Verona e non di Milano per accogliere il museo Fo-Rame. A tal proposito il ministro Franceschini ha giustificato la scelta con la volontà di accelerare i tempi realizzativi dell’opera, per poi chiosare pilatesco: “Dario Fo appartiene un po’ a tutti” e, in fondo, il luogo dove sta il suo lavoro diventa “territorio del mondo” più che di una specifica realtà territoriale. Non è passato però inosservato che alla serata di presentazione di Dario e Dio, con tanto di brindisi celebrativo per festeggiare i novant’anni, non ci fosse alcun rappresentante delle istituzioni. Un motivo in più perché Vincenzo Trione dalle colonne del Corriere della Sera possa scrivere: «Milano dimentica Dario Fo? (…) Nonostante i ripetuti tentativi fatti dallo stesso Fo per lasciare qui le tracce della sua avventura intellettuale, le istituzioni sono apparse insensibili. Lasciano perplessi la posizione del sindaco Pisapia e quella dell’assessore Del Corno. Ci si chiede come sia possibile che Milano non abbia colto il valore culturale e soprattutto simbolico di una collezione di questo tipo» (Corriere della Sera, 24 marzo 2016). Non resta che far buon viso a cattivo gioco e concedersi una gita fuoriporta.
Giulia Alonzo