di Marsha Norman
regia di Serena Sinigaglia
visto al Teatro Ringhiera di Milano_8-11 Marzo
È una quotidianità rarefatta quella che avvolge Buonanotte mamma, spettacolo prodotto del Teatro Stabile di Trieste per la regia di Serena Sinigaglia. A raccontarlo è già la scenografia, firmata come di consueto dalla brava Maria Spazzi: un tavolo, un divano ricoperto da merletti, una lampada demodè (anche questa in merletti), qualche scatolone a terra, pareti con nuvole bianche in campo azzurro, una televisione in posizione da protagonista. In questa piccola stanza stilizzata è presente tutto quello che dovremo sapere: che l’azione delle due protagoniste si svolge in un ambiente gretto e soffocante, tra conformismo, abitudine e mancanza di gusto; che la vita si sta consumando in incombenze domestiche e impossibilità di dialogo; che un orizzonte più ampio è desiderato ma inaccessibile.
La drammaturgia di Marsha Norman, tradotta da Laura Curino, arriva dritta al nodo della questione: Jessie, una quarantenne stanca di lottare per un’esistenza senza direzione né scopo, questa sera vuole togliersi la vita. Starà alla madre ascoltare le sue ragioni e provare a fermarla: a disposizione ha tutta la durata dello spettacolo. Serena Sinigaglia lavora in sottrazione, lasciando al testo e alle attrici spazio per emergere e farsi valere. La drammaturgia regge il compito: la Norman accarezza patetismo e retorica senza mai cedervi, alterna sapientemente un lessico familiare e quotidiano a momenti di disperato lirismo. Così riflessioni nichiliste cedono il passo a liste della spesa, urla e pianti si spengono su manicure e mele caramellate. Ed è proprio in questo che l’autrice rivela un’ottima abilità mimetica: incapace di comprendere e assumere in sé l’enormità della morte, la mente umana sfugge, svicola, torna a territori a lei più noti. Dal punto di vista strutturale, Norman disegna un piano inclinato che impercettibilmente degrada dalla commedia borghese alla tragedia, senza soluzione di continuità: dapprima la notizia viene sottovalutata, le motivazioni minimizzate e il dialogo tra i personaggi sembra scorrere come di consueto. Poi, gradualmente, la consapevolezza cresce. Ariella Reggio, nel ruolo della madre, è magistrale nel percorrere con la propria voce ogni sfumatura possibile: cinismo, incredulità, determinazione, rabbia, e poi paura, disperazione, pietà, rassegnazione. Marcela Serli presta cuore e intelligenza al personaggio di Jessie: ne emerge un’interpretazione che, sebbene non cerchi virtuosismi né ostentazioni di tecnica, è generosa, autentica, coinvolgente, mai retorica.
Ad accompagnare il percorso ineluttabile di testo e attori è la regia: il codice narrativo scivola a poco a poco dal naturalismo ad un’essenzialità che diviene simbolismo e poi astrazione. Così, la stanza medio-borghese viene progressivamente svuotata: mobili e suppellettili vengono accatastati a bordo palco, come in attesa di un trasloco o di un nuovo allestimento. Le interpreti svolgono il loro corpo a corpo in uno spazio sempre più vuoto, privo di appigli, così come il dialogo si spoglia di quelle banalità pratiche che sono state a lungo l’unica modalità comunicativa tra madre e figlia. La fine, dopo questo processo convincente proprio perché graduale, arriva come un epilogo naturale, che non cerca facili colpi di scena (per questo lo slogan “riuscirà a fermarla?” – stampato sulle cartoline promozionali – risulta quanto mai fuori contesto: quasi uno stonato “chi ha ucciso Laura Palmer?”).
È più vicino ad un percorso di ascesi che a un thriller Buonanotte Mamma: purificazione dalle cianfrusaglie alle quali sacrifichiamo la vita, viaggio in sottrazione del superfluo nel rapporto con l’altro e con se stessi.
Maddalena Giovannelli