Sotto il sole cocente di luglio, in una città invasa dall’afa estiva, la cinquantaduesima edizione di Santarcangelo Festival ha inaugurato il triennio di direzione artistica 2022-2024. A succedere a Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande di Motus è Tomasz Kireńczuk – drammaturgo, critico teatrale e curatore polacco – che per quest’anno ha scelto il claim Can you feel your own voice.
Il criterio di programmazione, infatti, è stato quello di trasformare la città in un luogo di condivisione, dove far risuonare una polifonia di voci disorganiche e non omogenee. Piazza Ganganelli si è trasformata in una grande tavola rotonda in cui, vincendo la sonnolenta immobilità delle giornate estive, potessero avvenire scoppiettanti e vivaci scambi di idee. Al calare della notte, quando gli spettacoli sono finiti, si anima Imbosco. Una scritta illuminata di giallo fluorescente recita il nome dell’happening e accoglie il pubblico e i cittadini di Santarcangelo al Parco Baden Powell. Come falene attorno a una lampada, tutti sembrano attirati dall’enorme tendone da circo – inondato di musica, luci e fumo – che sorge in mezzo al prato. Riunendo appassionati di teatro e non, persone che a Santarcangelo vivono o sono solo di passaggio, la festa riesce a creare quel senso di comunità che risulta più sfumato nella calura diurna della dimensione cittadina. Gli spettacoli, frequentati soprattutto da addetti ai lavori e affezionati al Festival, ripropongono infatti gli stessi temi esplorati negli ultimi anni e ne cristallizzano le modalità: il desiderio di apertura e varietà che ha guidato le scelte della direzione si è manifestato in performance votate a esplorare le sfumature identitarie e la corporeità in tutte le loro declinazioni, un’indagine sentita ancora come urgente e necessaria.

Sui palchi che il pubblico ha imparato a conoscere hanno fatto così sentire la propria voce individui pronti a condividere la propria soggettività fluida, frammentata, transgender, esibita, sofferente, culturalmente connotata, anticonvenzionale. Per esempio Love me di Marina Otero e Martín Flores Cárdenas rivendica la libertà dai canoni estetici femminili e la possibilità di appropriarsi di tratti stereotipicamente maschili come la violenza e la potenza sgraziata del movimento. In direzione opposta e complementare va invece CLOUD_extended di Giovanfrancesco Giannini/Körper: il danzatore replica i gesti e le posture di quadri e video proiettati sul fondale, portando avanti una ricerca della perfezione estetica dal sapore classico.
Spesso a essere potente è soprattutto la presenza fisica degli interpreti sul palcoscenico, esibita in performance volutamente minimali in cui il corpo e il suo stare in scena diventano il fulcro stesso dell’evento teatrale. È il caso, solo per citare un esempio, di O Samba do Crioulo Doido, creazione che vede il brasiliano Luiz de Abreu esibirsi sul palcoscenico in una danza virtuosa della durata di venti minuti, giocando con una bandiera del proprio paese richiamata anche dalla scenografia. 

Wilke, Dudus, Twiddle – Scores that Shaped our Friendship – foto di @pietrobertora Santarcangelo Festival 2022

Altre volte, il tema è approfondito e declinato in uno spettacolo a tutto tondo, come nel caso di Scores that Shaped our Friendship. In esso Lucy Wilke e Paweł Duduś, interpreti che firmano anche la regia e la drammaturgia, raccontano la storia di un rapporto, scandita in sette atti dalle musiche di Kim_Twiddle. Attraverso una perfetta commistione di parole, suoni e movimenti, ciascun capitolo offre un quadro in grado di approfondire con essenzialità temi attuali e nevralgici, senza scadere mai nel banale. A dominare la semplicità della scena – sopra un grande tappeto morbido collocato nella palestra dell’ITC Molari – sono i corpi dei performer: quello pieno di grazia e all’apparenza fragile e delicato di Lucy (affetta da atrofia muscolare spinale) e quello esuberante e slanciato di Paweł, del quale ogni fibra sembra emanare una potenza dirompente ma controllata. La loro interazione dipinge un rapporto pieno di tenerezza e passionalità, capace, oltre ogni retorica, di abbattere le barriere fisiche e porsi a tutti gli effetti al di là degli schemi. È un rituale di liberazione, sia per gli attori in scena sia, soprattutto, per gli spettatori, chiamati a rivedere le proprie inammissibili convinzioni. Sotto i loro occhi, le limitazioni dovute alla disabilità si amalgamano in modo organico nella pienezza di un rapporto che integra, senza negare, le peculiarità di ciascuno: «il nostro rapporto è bello», affermano i due performer, «perché nessuno dei due deve fingere di essere altro». Con questi presupposti, Wilke e Duduś possono esplorare a fondo le proprie fisicità, completarsi, sostenersi a vicenda, immaginare giochi erotici in cui esprimere la propria sensualità. In quest’ottica, il secondo capitolo simula lo spezzone di un documentario: sul palco non ci sono più due individui ma un puma dai movimenti temibili ed elastici e una tenera gazzella isolata dal branco, facile vittima per un predatore. La musica, eseguita o elaborata in diretta in una postazione sopraelevata posta in mezzo al pubblico, si sostituisce al narratore: contribuisce a costruire l’atmosfera di ciascun atto e accompagna lo spettatore nei salti di tema e di tono evidenti nel passaggio dall’uno all’altro. Ai ritmi sfrenati di una festa alla quale anche Kim_Twiddle si unisce – lasciando temporaneamente la propria posizione – per dare vita a un’orgia allegra e sfrenata sotto una pioggia di smarties, si sussegue il ritratto della lentezza e della pazienza necessarie nella quotidianità. Lucy viene vestita con cura e tenerezza ed è posizionata sulla sua sedia a rotelle ma, repentinamente, il registro cambia di nuovo per catapultare la platea in un abisso di dolore. Con una calza infilata in testa, il volto di Lucy diventa una maschera informe, mentre il commento che ha spesso ricevuto da parte degli utenti dei siti di incontri su cui si è iscritta, «You have such a pretty face but», è registrato, deformato e replicato in loop fino a trasformarsi in un ritornello martellante e infernale. Con poche pennellate di tempera, il viso dell’attrice si trasforma in una smorfia da pagliaccio, un Urlo di Munch intento a gridare un dolore inesprimibile a parole ma capace di dissolversi in pochi istanti grazie alla danza sensuale eseguita per lei da Paweł. Attraverso quadri essenziali, la performance riesce infatti a toccare con delicatezza e potenza le sfumature di una relazione fra individui, servendosi delle peculiarità dei corpi attoriali ma al contempo amalgamandole in una narrazione universale che può includere ogni spettatore. 

Cardellini, Gonzalez – L’Âge d’or – foto di @pietrobertora Santarcangelo Festival 2022

Non mancano, nella programmazione del Festival, spettacoli che vogliono rendere effettivo questo coinvolgimento, dando al pubblico un ruolo attivo nell’indagine portata avanti in scena. È il caso delle camminate performative, esperienze che a Santarcangelo hanno da sempre trovato luogo in quanto modalità per eccellenza di esplorazione dello spazio urbano, nelle quali il pubblico è invitato a seguire la presenza o la voce di una guida, uscendo così dalla dimensione, spesso asfittica, del palcoscenico teatrale. In questo caso la “visita-performance” L’Âge d’or (un progetto site specific di Igor Cardellini e Tomas Gonzalez adattabile a seconda della città in cui ha luogo) ha attraversato uno shopping centre di Rimini per riflettere sulla costruzione e sulla funzione sociale di un centro commerciale. La performer Emilia Verginelli guida il pubblico itinerante, provvisto di cappellini azzurri e di cuffie come in un tour guidato, accompagnandolo con commenti e spiegazioni registrate tra i negozi, i fast food e il grande supermercato, cuore pulsante di questo non-luogo.
Il centro commerciale è un edificio costruito ad hoc dove tutto funziona e tutto deve essere perfetto, dalle luci al pavimento, dai materiali alle vetrine che incorporano lo slogan “vedere è vendere”. Sotto una patina di frivola superficialità, esso cerca di riprodurre i modelli architettonici di piazza Ganganelli, di piazza San Marco o del Duomo, per portare i cittadini lontano dai canonici luoghi di incontro del centro e sostituirsi all’idea di agorà. Il lavoro alterna così il divertimento di un’ipotetica turista che si aggira tra le vetrine a una critica consumistica dei bisogni spesso effimeri degli esseri umani. 

L’Âge d’or mette in evidenza un concetto ben noto: le pubblicità e l’estetica dei prodotti attirano ciecamente i consumatori che, come gazze ladre, non riescono a resistere al luccichio della merce. Il meccanismo, apparentemente semplice, è sviscerato grazie ad approfondimenti e trattati filosofici, in grado di affascinare e inquietare lo spettatore, colpito da una tale complessità. La piacevolezza dell’esperienza teatrale e la critica – facilmente condivisibile – al sistema si intrecciano lasciando in ombra gli aspetti ambigui dell’operazione: i partecipanti allo spettacolo fanno acquisti, ricevono gadget, affollano i negozi  diventando a loro volta consumatori per eccellenza. Il centro commerciale diventa così un luogo sospeso nel tempo dove manichini inermi sembrano dialogare tra loro, mentre odori e profumi travolgono i passanti che in un secondo possono scegliere di viaggiare dall’America all’Asia. Ai partecipanti viene chiesto di scivolare in massa sul pavimento, scagliare in aria i vestiti di un negozio, ballare sulle scale mobili sotto lo sguardo attonito dei passanti. Sono azioni che invadono la città per andare nella direzione di un Festival che sia, come lo definisce Giovanni Boccia Artieri (presidente di Santarcangelo dei Teatri) una «piattaforma che ibrida gli spazi cittadini e la cittadinanza di Santarcangelo con i performer internazionali e i pubblici per un costante incontro delle diversità, delle diverse voci nello spazio pubblico». Si conferma così il marchio di fabbrica consolidato dalle passate edizioni, tanto forte e radicato da rendere attutito il cambio di direzione artistica. Fedele alla sua recente tradizione, il teatro proposto a Santarcangelo cristallizza la fluidità dei propri temi e format e rafforza una comunità ben connotata e consapevole di quello che vi troverà. 

Chiara Carbone, Francesca Rigato


foto di copertina: Pietro Bertora

SCORES THAT SHAPED OUR FRIENDSHIP
ideazione Lucy Wilke e Paweł Duduś
performance Lucy Wilke, Paweł Duduś e Kim Ramona Ranalter
e-composition & live-music Kim Ramona Ranalter
scenografia Theresa Scheitzenhammer, Alexander Wilke
luci Barbara Westernach
direzione tecnica Iris Rohr
sguardo esterno Tamara Pietsch, David Bloom
PR Kathrin Schäfer KulturPR
produzione Rat & Tat Kulturbüro
distribuzione Kira Koplin
traduzione italiana a cura di Ilaria Patano
con il supporto di NATIONAL PERFORMANCE NETWORK Guest Performance Funding Dance International
promosso da Federal Government for Culture and the Media
spettacolo sostenuto da Goethe-Institut Mailand e promosso dal Ministero Federale degli Affari Esteri della Repubblica Federale di Germania.

L’ÂGE D’OR
ideazione e testo Igor Cardellini, Tomas Gonzalez
performer Emilia Verginelli
assistente alla regia Pierre-Angelo Zavaglia
sguardo esterno Adina Secrétan
regia tecnica Sonya Trolliet
amministrazione e produzione Sarah Gumy
produzione Cardellini | Gonzalez, Théâtre de Vidy-Lausanne
in collaborazione con Kunstencentrum Vooruit – Gand, KANAL – Centre Pompidou – Bruxelles
con il sostegno di Canton de Vaud, Ville de Lausanne, Loterie romande, Pro Helvetia – Fondation suisse pour la culture, Fondation Nestlé pour l’Art, Fondation Ernst Göhner, Fondation, Jan Michalski, Fonds culturel SSA, Fondation Casino Barrière Montreux, Corodis
traduzione italiana a cura di Maria Stella Tataranni
in collaborazione con Le Befane Shopping Centre
spettacolo sostenuto da Fondazione svizzera per la cultura Pro Helvetia