di Valeria Cavalli e Claudio Intropido
visto al Teatro Leonardo di Milano_8-20 Gennaio 2013

La vita metropolitana è caos, in perpetuo remix.
Remixato esso stesso in una versione rinnovata negli attori e nella proposta, lo spettacolo culto di Quelli di Grock (apparso sulle scene per la prima volta nel 1988) ritorna a raccontare la città.

La giornata urbana viene scomposta e i suoi istanti più nascosti svelati. Quei gesti che per assuefazione finiscono quasi per non esistere, quelli verso cui siamo ciechi perchè ormai calati oltre la spessa cortina dell’abitudine ci vengono finalmente mostrati in sequenza: correre, camminare, salire e scendere, salutare, schivare, leggere il giornale … e poi ancora ridere, avere paura. Non c’è trama, come non c’è narrazione compiuta nel formicolare metropolitano, ma una sorta di tassonomia variegata di questi invisibili frammenti d’esistenza – e che pure sono essi stessi esistenza -, quasi che gli attori si siano divertiti a ricercare e sperimentare le infinite forme di quel minuscolo fare quotidiano e abbiano deciso di condurlo a coscienza portandolo su un palco.

Il risultato, nonostante la natura irregolare e discontinua della drammaturgia, si fa apprezzare per l’energia che sprigiona quel moltiplicarsi caleidoscopico di forme del vivere routinario, rappresentate da un movimento continuo e frenetico e sostenuto dalla percussione allucinata di musica da discoteca anni ’80. Un certo lisergico nonsense che si avverte anche in alcuni passaggi di battute e sketch, come quello relativo alle scale e che ricorda da molto vicino le ‘Istruzioni per salire le scale’ del divorante Cortazar (come sua è, d’altra parte, anche la riflessione letta a due voci).

La potenza, la velocità, il dinamismo che prende corpo nei corpi degli attori/danzatori ricorda quello delle macchine di produzione al lavoro, ma c’è gioia, c’è divertimento, si avverte quasi l’ilarità elettrica di una classe in gita scolastica. E il riferimento alla giovinezza non è casuale, chè l’età media degli attori è volutamente bassa e lo spettacolo originario era stato pensato per un pubblico molto giovane, pubblico che effettivamente esce da teatro esaltato e con gli occhi carichi di quella sua stessa energia che ha riconosciuto là, sul palcoscenico.

Ed è questa la chiave per leggere il finale con i ‘fuochi d’acqua’, le secchiate e gli scherzi, le scivolate sul palco fradicio e, forse, lo spettacolo tutto: un invito a tornare a guardarci, a ritrovare la sorpresa nell’azione creduta scontata, sperimentare l’inversione del già conosciuto, rimanendo in uno stato fluido e non più in un ‘mattone di cristallo’ e poter tornare a promettersi, ogni giorno, che “mi giocherò la vita avanzando un passo dopo l’altro per andare a comperare il giornale all’angolo”. (Julio Cortazar, ‘Storie di cronopios e di famas’)

Gloria Frigerio