di Gaetano Colella (Teatro Crest)
regia di Enrico Messina
visto a Campo Teatrale di Milano_ 13-16 gennaio 2016

Ilva, maxiprocesso ‘Ambiente svenduto’ ripartirà il 5 febbraio: fu annullato per una svista in tribunale.
Fra i politici a processo c’era anche l’ex governatore pugliese Nichi Vendola, accusato di concussione aggravata per presunte pressioni sull’Arpa in favore dei Riva.
(la Repubblica – 24 dicembre 2015)

Ilva di Taranto, esplosione nel reparto colate: nessun ferito. Operai soccorsi per lo shock.
A denunciarlo è la rsu della Uilm. Un episodio analogo si era verificato il 18 novembre all’indomani dell’incidente che costò la vita all’operaio Cosimo Martucci, travolto e ucciso da un grosso tubo d’acciaio.
(la Repubblica – 14 gennaio 2016)

Ilva, Massimo Rosini lascia l’incarico direttore generale.
Lo ha annunciato la stessa azienda “a seguito del nuovo scenario, creatosi con i recenti sviluppi che hanno interessato il Gruppo Ilva”.
(Corriere della Sera – 18 gennaio 2016)

Ilva di Taranto. Bastano tre titoli, tra quelli della stampa più recente, per capire quanto sia difficile raccontare in teatro una vicenda ancora così intricata e irrisolta. Capatosta, prodotto dal Crest – gruppo teatrale attivo da 36 anni a Taranto e trasferitosi nel 2008 all’ombra delle ciminiere dell’Ilva – è la storia di due operai che vivono il lavoro, la fabbrica, e la vita in maniere contrapposte.
Il più anziano ha la corporatura massiccia e l’agilità di Gaetano Colella, leader del gruppo e drammaturgo: un operaio che ha da poco superato i 40 anni, punta al prepensionamento e sogna di aprire un bar alle Canarie. Si presenta in ciabatte, malgrado le norme antinfortunistiche, perché “tanto quando ti devi far male non sei mai vestito come si deve”. Andrea Simonetti, un po’ un fratello minore un po’ un figlio, è invece al suo primo giorno di lavoro e smania per attuare il suo ‘progetto’: dare fuoco alla fabbrica.
Maschere di una contemporanea Commedia dell’Arte, i due fanno emergere un confronto dialettico all’interno della classe operaia: da un lato la centralità di un riscatto sociale attraverso il riconoscimento dei propri diritti, dall’altro la lotta politica per la dignità del lavoro e la salute. A motivare il giovane non è una laurea in economia con tanto di lode, ma la memoria del padre morto di tumore a 47 anni dopo aver lavorato nell’inferno dell’acciaieria.

Merito dello spettacolo è riuscire a far ridere senza semplificare, ottemperando comunque a tutti i principi del politicamente corretto. Per costruire il testo Gaetano Colella si è avvalso di una ricerca sul campo, condotta tra familiari e amici, in una città che si identifica quasi totalmente con l’Ilva e la sua tragedia. I dettagli che punteggiano la drammaturgia sono così estremamente precisi: dai luoghi della fabbrica (lo spettacolo è ambientato nell’Acciaieria 1 reparto RH), agli episodi realmente avvenuti (su tutti, quello delle magliette bruciacchiate) fino ai nomi e cognomi delle persone che hanno perso la vita a causa dell’Ilva, i morti sul lavoro non riconosciuti dallo Stato.
Certo è difficile restituire la complessità dei problemi che si porta dietro una vicenda come quella dell’Ilva, ma Capatosta riesce a darne un assaggio efficace. A testimoniarlo il calore del dibattito che si è acceso dopo lo spettacolo a Campo Teatrale nella serata del 13 gennaio: in platea sedevano operai di altre fabbriche milanesi in lotta, dalla Breda alla Ri-Maflow (fabbrica recuperata dai suoi stessi lavoratori dopo il fallimento, seguendo il modello argentino).  Lo spettacolo – così ha commentato uno degli operai in sala – ha trasformato esperienze e sentimenti personali in emozioni condivise, rappresentando sfaccettature che le lotte e gli articoli di giornali non sono in grado di cogliere.
È quello che accade quando il teatro diventa strumento di comprensione della realtà, e riesce a farsi portavoce della polis.

Giulia Alonzo