Conversazione con Giuseppe Isgrò e Francesca Marianna Consonni
A Milano, l’autunno americano è stato di lunga durata, e non si è limitato al palinsesto proposto dal Comune tra Settembre e Febbraio. Accanto alle compagnie ufficialmente inserite nel programma, anche altre hanno scelto di portare in scena autori simbolo della tradizione statunitense. Da segnalare – oltre a Miller e a Emily Dickinson firmati Elfo – è il significativo ritorno del teatro di Tennessee Williams. Gli spettatori milanesi hanno avuto l’opportunità, negli scorsi mesi, di vedere due esperienze antitetiche e complementari. In gennaio è stato presentato, al Teatro Menotti, Lo zoo di vetro diretto da Arturo Cirillo: uno spettacolo dalla regia calibrata e puntuale, tutta costruita sugli ottimi attori e su un’interpretazione del testo misurata e mai sopra le righe (leggi la recensione).
Di tutt’altro genere è lo sguardo della giovane compagnia Phoebe Zeitgeist, che nello scorso febbraio ha portato all’interno della programmazione di Nuove Storie dell’Elfo Puccini American Blues: una selezione di tre dei quattro Blues pubblicati da Einaudi. “Stiamo portando avanti da molto tempo un lavoro di ricerca sull’immaginario letterario e cinematografico americano”, racconta il regista Giuseppe Isgrò: “quello che ci interessa è attraversarlo con uno sguardo straniato e deformante”. La compagnia Phoebe Zeitgeist sperimenta da alcuni anni un percorso di ricerca che si nutre di suggestioni filosofiche e della contaminazione con le arti visive (in questa direzione si muovevano anche La giornata di una sognatrice e Loretta Strong da Copì): “la creazione di questo spettacolo è stata fortemente condizionata, per esempio, dall’estetica di Mike Kelley. Proprio mentre provavamo, all’Hangar Bicocca veniva presentata la mostra Eternity is a Long Time, nella quale abbiamo scoperto una grande installazione fortemente williamsiana”.
La regia di American Blues ha dunque seguito suggestioni eterodosse: “l’immaginario di altri autori che amiamo ha prodotto in noi un cortocircuito”, spiega Isgrò. “La parola di Fassbinder, ma anche gli spazi mentali di Copì hanno contribuito a dare vita a un racconto dell’America diverso da quello che il pubblico è abituato a vedere”. Il melodramma svela le sue strutture e diventa meta-melodramma; la dimensione della rappresentazione, sempre esplicita nello spettacolo, viene rivelata anche dalla presenza di un proiettore d’epoca per pellicola in 8mm di cui lo spettatore sente il rumore, quasi si trovasse sul set di un film muto.
In tempi in cui il lavoro sul testo viene sempre più spesso sacrificato per esigenze di tempo o di budget, Phoebe Zeitgeist si concede il lusso di una dramaturg: Francesca Marianna Consonni ha seguito tutto il processo, dalla selezione dei testi all’adattamento scenico. “La struttura del blues richiede un lavoro specifico”, spiega Francesca: “sono testi brevi, che permettono un accurato labor limae, parola per parola”. Williams mette a punto in questi testi una drammaturgia dal forte impianto musicale: “per questo abbiamo cercato di dare rilievo all’andamento del blues, che è oscillatorio, pieno di pencolamenti. La parola sembra andare e tornare di continuo”.
Centrale si è rivelato, in questo allestimento straniato e spiazzante, l’uso delle didascalie. Se Williams immaginava una proiezione visiva di quei brevi testi, Phoebe Zeitgeist ha preferito un’altra direzione: “Sara Borsarelli (la voce registrata che enuncia le didascalie) ha lavorato a lungo sulle doppiatrici italiane di attrici come Bette Davis o Joan Crawford”.
“Abbiamo cercato di utilizzare quei passaggi come un termometro della temperatura del testo”, continua Francesca: “Man mano che si procede, quei momenti diventano così angoscianti e onirici da avvicinarsi all’incubo”. E nella stessa prospettiva si muove anche l’apparato sonoro curato di Giovanni Igrò; una inquietante partitura messa a punto live nell’ascolto degli attori, mai semplice sottofondo extra-diegetico, ma parte integrante della narrazione. Del resto – come scriveva Williams nella bella introduzione allo Zoo di vetro – “il teatro delle convenzioni realistiche è ormai superato (…). La vita – o realtà – è una cosa organica che la fantasia poetica può rappresentare nella sua essenza solo attraverso una metamorfosi”.
Maddalena Giovannelli