Scendiamo, dieci metri sotto terra, nel cuore dell’Università Cattolica. L’aula Bontadini è costruita attorno ai resti di un’antica ghiacciaia, quella del convento su cui insiste l’ateneo di Largo Gemelli. È un sito archeologico: alle pareti, teche di vetro contenenti cocci, ninnoli, epigrafi; nel centro della sala si indovina la curva di un muro, basi di colonne crollate. Rovine architettoniche. Sara Sguotti e Arianna Ulian vi danzano qualche palmo più sopra, a piedi nudi sul pavimento trasparente. Piegate l’una attorno all’altra, si cercano senza mai raggiungere il contatto, in esplorazione dello spazio interstiziale fra i loro corpi, continuamente ridefinito dal movimento. Una crepa, che si allarga e si assottiglia, si rimargina per poi ricomparire altrove.
Lo studio delle due performer nasce dal suono. Ulian, scrittrice, rintraccia l’etimologia del loro tema in un antico fonosimbolismo: k-r-p è lo scricchiolio di un materiale solido che si spacca, lo strepito dei sonagli dei bambini – crepundia – che ci attendono esposti nello spazio performativo. Nelle commedie classiche, il riconoscimento di un affetto perduto avviene spessissimo proprio grazie a questi oggetti: assumono quindi una forte valenza identitaria, che filtra nel campo semantico dello spettacolo. Altrettanto intima è la connessione col suono ricercata da Sguotti nel corporeo e trovata negli schiocchi delle articolazioni, “crepe” del movimento, che punteggiano il paesaggio sonoro curato da Spartaco Cortesi.
Quello che ci avvolge è un sound materico, attraversato da più direzioni dalle voci delle interpreti che, disarticolate e ricomposte, diventano ritmo: sia quando sono solo sussurri spezzettati, sia quando assumono la cadenza dei quasi-settenari di Arianna Ulian. I versi, modellati su quelli del poeta milanese Antonio Porta (Come se fosse un ritmo), combaciano con l’andamento palpitante della crepa posta in essere nella performance. A segmenti nominali allitteranti si accostano azioni agite da soggetti indefiniti, “che” e “se” compaiono sospesi, privi di agganci grammaticali. L’incipit: «che stonaca la camera / disunisce i letti / spartiscono stoviglie / si mettono a tacere». Ne risulta una serie di immagini fratturate, spiragli, che talvolta trovano dei nessi fra loro in modo casuale, ma fulminante: «la crepa che da te parte / segna il passo al vicino / sei del mio stesso lembo / sei l’esoscheletro / questo tipo di montaggio / di ossa che ho raccolte / non è un sentimento / la crepa la si porta».
Danzandone le ramificazioni, le performer disegnano la loro crepa nello spazio tramite le linee spezzate dei corpi e delle loro traiettorie. Se a un tratto si separano per un’indagine singola, chi aggrovigliata a una ringhiera e chi abbandonata su un flusso di sinonimi (frammenti, frantumi, schegge, avanzi, screpolature, pezzi, cascami, detriti, particole…), i loro percorsi sono sempre contenuti nei reciproci sguardi. Si seguono l’un l’altra con attenzione, dedicandosi un ascolto totale. Abitare la crepa, infatti, implica vulnerabilità e cura: è uno spazio “in perdita”, definito per difetto, ed espone le fratture, ma allo stesso tempo è una feritoia che rende possibile avvicinarsi davvero all’altro, incontrarlo e riconoscersi.
Per le artiste l’incontro si è compiuto e ora respira in un dialogo familiare e organico, radicale nella sua tenerezza. Le specificità dei loro fisici – l’uno solido, l’altro sottile; l’uno attraversato a tratti da contrazioni nervose, l’altro colto all’apice effimero della performatività – si fanno elementi di una sintassi privata che può diventare modello per un’etica dei corpi. Quel caring spacericercato dal gruppo di lavoro che, guidato dalla professoressa Chiara Paolino, ha attraversato le ultime edizioni di MILANoLTRE.
In sinergia con altre opere presentate al festival, da Breathing Room di Salvo Lombardo ai soli di Vittorio Pagani e Francesca Santamaria, CrePa affronta l’ineluttabilità di crolli e assestamenti, deperimenti del corpo e dell’anima, e la necessità di trovare dimensioni per conviverci. Imparando a lasciar andare e a lasciarsi andare, consapevoli che il salto nel vuoto può essere breve: giusto la crepa tra due corpi.
Francesca Redaelli
in copertina: foto di @Lorenza Cini
CrePa
di e con Sara Sguotti e Arianna Ulian
testi Arianna Ulian
ambiente sonoro Spartaco Cortesi
costumi Eva Di Franco
luci e direzione tecnica Mattia Bagnoli
accompagnamento drammaturgico Giovanni Sabelli Fioretti
PR e media relations Giuseppe Esposito
produzione Perypezye Urbane
co-produzione OperaEstateFestival \ CSC centro per la scena contemporanea di Bassano del Grappa, MILANoLTRE Festival
con il supporto di Santarcangelo Festival, IIC Zurigo, Tanzhaus Zurich, Passages Transfestival, IIC Strasburgo, Centro di Rilevante Interesse per la Danza Virgilio Sieni, Théâtre Sévelin 36, Fondazione Armunia
un ringraziamento speciale a Simona Bertozzi per il suo sguardo e a Roberto Casarotto per l’accompagnamento
Questo contenuto è esito dell’osservatorio critico dedicato a MILANoLTREview 2024