Di linguistico c’è poco o niente nello spettacolo diretto da Chiara Bersani. Ma è proprio quest’assenza pressoché totale di linguaggio e significazione verbale che costituisce uno dei punti nevralgici di The Whales Song, che fin dal titolo allude alla ricerca di una lingua comune, non verbale. Poco prima dell’inizio, al pubblico viene chiesto di indossare delle cuffie e far partire una traccia audio che durerà per l’intero spettacolo. La registrazione – un insieme di suoni confusi, sottofondi quotidiani, piccole voci e rumori di strada mescolati, non discernibili, costantemente disturbati, ovattati e spodestati da toni profondi che come onde ricoprono tutto – ha una duplice funzione: dare un’azione comune, costituire una comunità di persone (sedute per lo più nello spazio scenico) che ha la libertà di “sentire” i propri corpi, le proprie presenze; creare un doppio piano, un sopra/sotto o dentro/fuori, che richiami le grandi maree e un respiro globale in contrapposizione ai tempi frenetici della metropoli, e in tal caso rispetto al tempo della performance che nel frattempo si sviluppa “al di là” dello spazio sonoro condiviso. Il progressivo abituarsi a questo duplice sentire – presente e comunitario uno, remoto e oceanico l’altro – è accompagnato da una scenografia scarna, con grandi teli sul soffitto che si muovono con lentezza e lasciano filtrare una luce soffusa. Il pubblico che fatica a entrare in questo tempo altro, che resta in attesa che qualcosa di improvviso arrivi a prendere parola, a dire “io”, capisce presto che rimarrà deluso. La significazione è la grande assente, ricoperta anch’essa da acque più grandi di noi.
In questo levare anti-antropocentrico scava Chiara Bersani e aiuta ancora il pubblico con una non-guida, un performer che senza farsi notare si alza da una sedia e non dà istruzioni ma agisce, pare andare a tempo con questo nuovo tempo, il “canto delle balene” che si sente in cuffia, il suono sotterraneo del mondo. Matteo Ramponi, come dichiara la regista nelle note, sa diventare invisibile: «sparisce tra i corpi ma ne detta il movimento». Alzandosi, rimanendo fermo, aggiungendo via via ondulazioni e passi compassati, micro-gesti quotidiani, avvicinandosi lentamente ai corpi degli spettatori, Ramponi li accompagna in questo tempo condiviso senza dire niente, senza emergere mai come soggetto. Con lui, il viaggio nel sopra/sotto e dentro/fuori trova ulteriore amplificazione, fino a trasformarsi in un rito collettivo. Se la tentazione di controllare, capire, conoscere è troppo forte, lo spettatore potrebbe togliersi le cuffie, magari con la certezza di scoprire qualcosa, una chiave semantica: è quanto la stessa voce di Bersani, prima che inizi lo spettacolo, invita pure a fare. Si verificherà l’ultima resa dello “spettatore logico”. Anche i suoni in scena concorrono a creare un’atmosfera pre-logica, dialogando con lentezza e suoni in lontananza con il “sotto”. Essenzialmente coerente, Ramponi, al termine di The Whales Song, applaude insieme a tutti i corpi presenti: nessun io a inchinarsi.
Riccardo Corcione
THE WHALES SONG / IL CANTO DELLE BALENE
ideazione e creazione Chiara Bersani
azione Matteo Ramponi
suono F. De Isabella
partecipazione alla creazione sonora Ilaria Lemmo
luce e scena Valeria Foti
tecnica Paolo Tizianel
consulenza drammaturgica Marco D’Agostin
coach Marta Ciappina
styling Greta Rizzi
mentoring Alessandro Sciarroni
video Alice Brazzit
organizzazione di produzione e logistica Eleonora Cavallo
promozione,comunicazione, cura Giulia Traversi
consulenza amministrativa Chiara Fava
produzione Associazione Culturale Corpo celeste C.C.0#
co-produzione Kunstencentrum Vooruit(Gent, BE), Santarcangelo Festival (IT), Armunia/Festival Inequilibrio (IT)
con il supporto di Centrale Fies, Dro (ITA), Teatro Gioco Vita (Piacenza), CSC– Centro Per La Scena Contemporanea (Bassano del Grappa, IT), Versiliadanza – Teatro Cantiere Florida (Firenze), Piemonte dal Vivo – Circuito Regionale Multidisciplinare e Lavanderia a Vapore – Centro di Residenza per la Danza, Theaterfestival Boulevard (‘s-Hertogenbosch, NL)
Spettacolo visto in occasione di apap_Feminist Futures Festival