tratto dall’omonimo romanzo a fumetti di Davide Toffolo
regia di Eleonora Pippo
visto al Teatro Elfo Puccini_ 28 ottobre -2 novembre 2014
Un concerto sussurrato
di Camilla Lietti
Le luci rimarranno accese per tutta la serata nella sala Fassbinder del teatro Elfo Puccini privata del palco e trasformata in una sorta di tavola rotonda. L’occasione è quella di Cinque Allegri Ragazzi morti – il musical LO-FI che approda a Milano per la seconda volta, dopo i molti tutto esaurito nelle sale italiane. In scena i primi due episodi (L’alternativa e La festa dei morti) di questo esperimento seriale che trae il nome e la vicenda dalla graphic novel di cui Davide Toffolo (el Tofo), poliedrico artista e voce dei TARM, è autore.
Ha avuto una bella intuizione Eleonora Pippo, regista dello spettacolo, a coniare il sottotitolo “LO-FI” che ben definisce questa particolare operazione teatrale.
Come a dire: dimenticate il tradizionale musical da grande palcoscenico e le sfarzose scenografie, la messinscena mira piuttosto a creare un rapporto diretto tra pubblico e performer, stabilendo una vicinanza prima fisica e poi emotiva. Niente microfoni, niente quinte, lo spazio è definito solo da una tastiera e un piccolo palco, i cambi avvengono in scena.
Da qui prendono il via le avventure di Gianni, Vasco, Sumo, Sleepy e Mario, i cinque ragazzi morti, che si intrecciano a quelle di Sabina, la donna lupo e di Paolina, alla disperata ricerca del suo Gianni Boy. I giovani performer – attori, cantanti e anche musicisti – sono sostenuti dalla rassicurante presenza di “papà Toffolo” che con sorrisi, interventi musicali e attorali assiste allo spettacolo in un ruolo in bilico fra spettatore e attore, giocando con la complicità dei presenti.
La “bassa fedeltà”, anticipata nel titolo, si rivela anche in quella patina grezza che è tratto distintivo dello spettacolo. Un (genuino) prendersi poco sul serio che attira e coinvolge un pubblico misto di fan e curiosi, per la maggior parte nuovi alle platee milanesi. Movimenti e battute, eseguiti per lo più in modo informale, contribuiscono ad accrescere un effetto di incompiutezza che è allo stesso tempo uno degli aspetti più interessanti e più rischiosi di questo lavoro: l’atmosfera è piacevolmente informale, ma a tratti le sequenze narrative sembrano perdersi nella confusionaria frenesia dei giovani interpreti. Il progetto è nuovo e originale, e i limiti e le ingenuità possono certo essere giustificati nella prospettiva di una progressiva pratica e affinamento (un po’ meno rispetto al prezzo del biglietto che pare eccessivo). Accade così che a farla da padrone siano i brani della storica band eseguiti dai giovani performer accompagnati, a tratti, dall’inconfondibile voce di Toffolo e dai più coraggiosi tra gli spettatori. Ne nasce, soprattutto durante i brani all’unisono, i più emozionanti e meglio riusciti, un particolare ensemble di attori, pubblico e autore dei brani. Un’atmosfera intima, quasi un concerto sussurrato.
Non guardarmi così perché ho quindici anni
di Corrado Rovida
È una questione di età. I Tre allegri ragazzi morti lo sanno bene, tanto che quella parola, ‘ragazzi’, inscritta nel nome della band di Pordenone, suona (ed è il caso di dirlo) come qualcosa di più che una connotazione anagrafica. Per Toffolo e compagni infatti l’adolescenza è, prima che oggetto di studio e fonte di ispirazione, uno statuto poetico, il cui principio primo si racchiude in una formula semplicissima: non saremo mai come voi. Una rivendicazione di autonomia certo un po’ingenua e velleitaria nel proprio idealismo (così come si addice alla pubertà), ma che allo stesso tempo descrive alla perfezione una condizione innegabile: ogni adolescenza coincide con la guerra, quella contro un processo di crescita, di identificazione, colpevole di volerle sottrarre il suo bene più grande, un’indeterminatezza libera e assoluta. Ecco allora che, nella finzione artistica, solo la morte diventa l’alternativa: una dylandoghiana isola che non c’è, in cui poter perpetrare all’infinito il proprio essere in potenza tanto nella creatività quanto nella libertà espressiva. I ragazzi di vita di pasoliniana memoria (per citare uno degli scrittori più importanti nella formazione di Toffolo) non esistono più, hanno lasciato il posto ai ‘ragazzi di morte’ che, senza regole, e animati da un’allegria senza fine, colonizzano ogni mezzo: dal fumetto alle performance live, dalle canzoni al teatro. Nel progetto crossmediale dei TARM ciò che colpisce non è solo la qualità artistica, ma la capacità di un’estrema coerenza ideologica in cui l’attenzione all’adolescenza non si piega a diventare pretesto per desolanti giovanilismi né per nostalgiche rimembranze, ma significa vitalismo, possibilità, essere ‘porta sul futuro’. E se questi aspetti, veicolati dall’incredibile spetaculo dei TARM, sono riusciti a suscitare in tutti questi anni di attività una certa curiosità, una sentita partecipazione, e perfino una nota di ammirazione, il merito va soprattutto alla capacità di sguardo del gruppo. Una visione forse istintiva, eppure consapevole, che riesce a conferire alla bellezza grezza di quell’età, al suo acerbo splendore, tutto il suo peso specifico.