Dancehaus, Milano, 2 ottobre. Le ballerine riprendono fiato dopo la masterclass di Marie Chouinard, fresca di nomina a direttrice del settore danza della Biennale di Venezia. Carol Prieur, danzatrice feticcio dal 1995 della compagnia, si concede a qualche domanda.

Il vostro metodo, quando impostate un nuovo lavoro, si fonda sull’improvvisazione o su uno schema preciso?

Spesso ci capita di avere già un’idea di massima come, ad esempio, quella di voler sperimentare metodi di moto nello spazio, che si avvalgano di apparati esterni alla danza, ma che influenzino la nostra ricerca di fisicità. A volte Marie prova con la musica, oppure si ispira a disegni, ad architetture che modificano la direzione del lavoro in corso d’opera. Non sa sempre dove andrà. Non ha una coreografia rigorosa prefissata, ma fornisce un’improvvisazione guidata, che muove attraverso un’intenzione specificamente fisica, emozionale o drammatica.

Lo spettacolo quindi risulta leggermente alterato nelle sue diverse esecuzioni?

In un certo senso sì: il corpo e la mente si sentono in modo diverso ogni sera. E, inevitabilmente, l’istinto è quello di non fare di nuovo ciò che ho fatto il giorno prima. La difficoltà del nostro lavoro è proprio questa: dobbiamo ripetere un gesto come se lo stessimo eseguendo per la prima volta, solo così si riesce a dare qualità al movimento. È per questo che, in un certo senso, lavoriamo su coreografie che sono come la matematica: formule rigide che permettono però diverse applicazioni e una certa libertà d’azione.

Il potere erotico delle vostre performance è necessario per comunicare qualcosa oppure è solo una conseguenza del vostro lavoro?

È un’energia che non può essere ignorata e che fa parte dell’essere umano come le emozioni o il respiro che sono fattori dell’esistenza, anzi la creano.

I vostri lavori attingono alla tradizione oppure avete come regola la novità?

Tutto influisce: la danza indonesiana, il butō, l’arte visuale, la musica, la scrittura, gli spettacoli che vediamo, le persone che incontriamo. Marie è come un’antenna che capta tendenze, pensieri, movimenti, cosa succede nel mondo. Il punto è trovare un modo di comunicare, non necessariamente in un unico stile: la tecnica di base di Marie è la connessione alla terra, al corpo, al respiro, alla spina dorsale. Da lì i corpi diventano diversi, in metamorfosi, e possono comunicare in vari modi per esprimere le idee; è con la fisicità che si esprime ciò che abbiamo dentro. Noi non dobbiamo esattamente capire cosa succede sul palco ma sentirlo.

Cosa volete lasciare al pubblico dopo lo spettacolo?

Penso che sia bello che gli spettatori uscendo, abbiano una nuova visione del mondo, come quando si ascolta la musica o si guarda un quadro. Il ballerino deve far sentire qualsiasi cosa al pubblico, rabbia, speranza, paura, tristezza, una risata, gioia. Noi sentiamo veramente tanto danzando, viviamo molto il nostro corpo e speriamo di provocare empatia. Penso che la fisicità diventi la narrazione stessa dello spettacolo.

A cura di Marco Macedonio

Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MilanOltreView