Se non vi è ancora capitato, provate a cercare un video di Angelo Izzο su youtube. Scoprirete che lo spietato autore del massacro del Circeo (1975) e di Ferrazzano (2005) è un ottimo narratore: non manca di ironia, è capace di acute e paradossali considerazioni psicologiche, utilizza un’argomentazione stringente. Dallo schermo assistiamo insomma a una lucida performance del male: Izzo si auto-rappresenta attraverso la fredda esibizione degli aspetti più efferati, inumani, imperdonabili del crimine. Forse proprio guardando l’agghiacciante performance di Rizzo, al regista Filippo Renda è venuto in mente di portare la vicenda sul palco di un teatro mettendo sotto i riflettori la scelta del killer di trovare setting, pubblico e comprimari.
Rinfreschiamo le puntate precedenti. È il 1975, Izzo, con due compagni di ventura, attira due ragazze in una villa e le tortura: una muore, l’altra (Donatella Colasanti) sopravvive e testimonia. L’episodio passerà alla storia come Massacro del Circeo e, complice anche l’infuocato clima politico, verrà letto in chiave socio-culturale. Chi vuole comprendere come dietro quella carneficina si nascondano le tensioni tra l’ottima borghesia romana e il proletariato, legga Educazione cattolica di Edoardo Albinati (2016), romanzo che ha costituito un cruciale punto di partenza per Renda.
Ma torniamo a Izzo. L’uomo viene arrestato poco dopo i fatti, ma nel 2004 viene lasciato in semilibertà: dopo solo qualche mese stermina altre due donne, con dinamiche del tutto simili al precedente massacro. Come raccontare in uno spettacolo questo trionfo del male senza semplificare? Filippo Renda, che firma la drammaturgia con Elisa Casseri, ha le idee chiare: non intende raccontare di nuovo i fatti. Tanto meno cederà alla tentazione del reenactment: ripetere sulla scena significa rivivere e far rivivere, e non è mai un gesto neutro – trovate un saggio di metodo in The act of killing di Oppenheimer, 2012. Non resta che una strada: raccontare un’altra storia, che riverberi e si rifletta su quella di partenza. A sancire il patto tra gli autori e il pubblico è il titolo, Circeo: una promessa di argomento che Renda si prende la responsabilità di disattendere, e allo stesso tempo un filo diretto con il materiale incandescente del delitto.
Assistiamo così a una vicenda che, almeno in principio, ha tutta l’aria di essere una trama da fiction: lui e lei (Arianna Primavera e Luca Mammoli) sono in vacanza nella casa al mare, ed ecco che due misteriosi ospiti ficcanaso (Alice Spisa e Michele Di Giacomo) rovinano la quiete della coppia. La tensione sale subito anche se sembra non accadere nulla di realmente spaventoso: basta lo spettro del titolo a ricordarci che le cose potrebbero precipitare da un momento all’altro.
Le dinamiche interpersonali diventano la possibile miccia: i due invitati, che sembrano piombati lì dal nulla, propongono un gioco di ruolo e danno così vita a dinamiche di massacro à la Carnage –anche qui, il setting resta l’interno claustrofobico della casa. Spisa e Di Giacomo sono bravissimi nel tenere i loro personaggi appena sopra la linea del realismo, con ghigni innaturali e pause forzate. Per chi avesse ancora dubbi sulla loro buona fede di ospiti, basterà guardarli negli occhi. Nel frattempo, lo spettatore è chiamato a fare collegamenti e a trarre conclusioni. Ma quel personaggio che viene dalle borgate romane (Mammoli) non vorrà forse evocare le classi sociali delle due vittime del Circeo, mentre la borghesissima padrona di casa (Primavera) i due carnefici?
Ma il punto non è forzarsi a trovare simmetrie. Circeo ci mostra in modo efficace come i meccanismi della violenza crescano nelle crepe delle tensioni relazionali, si nutrano dei rapporti di forza che tutti noi instauriamo più o meno consapevolmente nella nostra quotidianità, e capovolgano spesso la nostra definizione di vittima. E ci ricorda, soprattutto, come gli ingranaggi del massacro prevedano sempre un complice-spettatore. Non è un pensiero rassicurante, sulle poltrone di un teatro.
Maddalena Giovannelli
Circeo
di Elisa Casseri e Filippo Renda
con Michele Di Giacomo, Luca Mammoli, Arianna Primavera e Alice Spisa
regia di Filippo Renda
produzione Teatro delle Donne / Idiot Savant
col sostegno alla produzione di DIG Festival, Riccione Teatro, Alchemico Tre
in collaborazione con L’arboreto Teatro Dimora, La Corte Ospitale, Centro di Residenza Emilia-Romagna
con la consulenza di Rete degli archivi per non dimenticare