Cita a ciegas. Una traduzione letterale – “appuntamento al buio” – potrebbe far pensare a una di quelle commediole leggere tutte intrallazzi e tradimenti. Eppure, sotto una velatura comica, l’autore argentino Mario Diament nasconde contenuti tanto profondi che il pubblico che vi si addentra fatica a tornare in superficie. Il capolavoro di Diament, già conosciuto e diffuso a livello internazionale, approda alla scena italiana solo oggi, grazie a una coproduzione che vede collaborare il Parenti con la Fondazione Teatro della Toscana.
La trama si struttura in un meccanismo di molteplici intrecci e coincidenze scandito alla perfezione: è proprio il susseguirsi di incontri mancati e incontri avvenuti a condurre lo spettatore in uno slalom tra tragedia e commedia, che si conclude in un finale ribelle a qualsiasi definizione.
Il primo personaggio che compare sulla scena è un uomo cieco (Gioele Dix), seduto sulla panchina di un parco nella città di Buenos Aires. Senza mai alzarsi dalla panchina, il Cieco – di cui non si specifica il nome, come nel caso di tutti gli altri personaggi – incontra un altro Uomo (Elia Schilton), una Ragazza (Roberta Lanave) e infine una donna, o meglio, la Donna che lui stesso stava cercando da tutta la vita (una Laura Marinoni particolarmente brillante). È solo attraverso questi incontri che si svela l’identità del Cieco: un noto scrittore, ispirato alla figura di Borges, nonostante Diament non lo dichiari apertamente. La regista Andrée Ruth Shammah sceglie invece di sottolineare l’identificazione con l’intellettuale argentino inserendo, a questo scopo, versi e pensieri di Borges all’interno della drammaturgia. Una scelta che, se certamente impreziosisce il testo di Diament, al tempo stesso crea un sovraccarico di raziocinio e di speculazioni filosofiche; data la lunga durata della performance, le parole fanno sentire il loro peso a sfavore della fruibilità del testo.
È lo scrittore a fare da perno alla narrazione; è infatti l’unico in grado di conoscere a fondo il cuore di chi gli si propone. “Sono cieco, ma questo non significa che io non veda”: un ribaltamento di prospettiva e di ruoli che porta con sé un tema certamente non nuovo sulla scena – si pensi all’illustre precedente che offre Sofocle nell’Edipo Re. È il Cieco dunque l’unico vedente, circondato da gente confusa che soffoca nelle relazioni della propria vita. Non è un caso allora che ciascuno di loro, in un modo o nell’altro, ricorra all’aiuto della psicanalista (che, giusto per aggrovigliare ancora una volta i fili, è la stessa per tutti). Quello tra la Psicologa (Sara Bertelà) e lo scrittore diventa allora un paragone inevitabile, abilmente sottolineato dalla scenografia (curata da Gian Maurizio Fercioni): con il cambio di scena, la stessa panchina del parco si trasforma nel lettino che ospita i pazienti durante le sedute psicanalitiche. Una differenza però è notevole: al posto dello spazio aperto e conciliante del parco, due muri altissimi, fittamente riempiti di libri, stagliano il palcoscenico creando un senso di strettezza e limitazione. Coincidenze, destino, realtà parallele e mondi possibili che tanta parte hanno nei discorsi dell’autore cieco non sono ammessi nello studio della psicanalista. Il riaprirsi della scena finale tra gli alberi e le panchine del parco vede trionfare nuovamente – nel bene e nel male – il destino: la Donna, addolorata per la morte della figlia, viene casualmente raggiunta dal Cieco. I due, che si erano cercati da tutta la vita, si trovano così seduti l’uno accanto all’altra: minuscoli in mezzo all’enorme palcoscenico del Franco Parenti, restano in contemplazione del loro incontro, una delle infinite alternative che si sarebbero potute verificare. “L’amore non vissuto, madame, torna sempre a chiedere la sua parte.”
Veronica Polverelli
Cita a ciegas
di Mario Diament
traduzione, adattamento e regia Andrée Ruth Shammah
visto al Teatro Franco Parenti_6 – 29 marzo 2018