Nei primi momenti dello spettacolo, la tragedia ci chiama da dietro un vetro. Osserviamo il regno crudele di Clitennestra come in un acquario dove, sotto lo sguardo vigile della regina, danzatori in nero tendono i propri corpi in lentissimi intrecci di violenza, incorniciati da luminescenze verdi, viola, azzurre. La musica, ricca di bassi, vibra ovattata e distante. Poi la tragedia ci accoglie. Ci rende parte del suo stesso svolgersi quando, dall’esterno del Padiglione di Arte Contemporanea, veniamo guidati all’interno.

Lo sguardo dello spettatore, inserito nello spazio performativo, è centrale per la fruizione di Coefore Rock&Roll: la seconda tappa dello studio sull’Orestea che Enzo Cosimi ha inaugurato con Glitter in my tears – Agamennone è articolata in una pluralità di stazioni disposte intorno al pubblico. Chi assiste osserva, si volta, si sporge oltre i corrimani del PAC per seguire una narrazione molteplice, divisa fra aree maggiormente abitate dai corpi dei danzatori in azione, punti di sosta e spazi che, definiti da luci e oggetti scenici, non vengono mai attraversati. Occhi onnipresenti, quelli del pubblico, che vengono attirati nella tragedia dai performer – i quali ostentano pose artefatte e sguardi provocanti da copertine patinate o si scattano decine di selfie – e possono vedere non solo lo svolgersi delle vicende, ma anche l’interiorità dei personaggi che le vivono.

Lo spettacolo, infatti, si realizza nel manifestarsi fisico, concreto di elaborazioni psicologiche. La scena, suddivisa in zone al tempo stesso interrelate e indipendenti come le regioni della mente umana, accoglie anzitutto l’immagine di un’infanzia tradita ma, in fondo, ancora desiderata. Dall’alto dominano lo spazio due pupazzi impiccati al soffitto; i quattro danzatori principali – Alice Raffaelli, Francesco Saverio Cavaliere, Luca Della Corte, Roberta Racis – allineano con cura peluche colorati, dispongono vecchie coperte come bambini all’inizio di un gioco. E come per gioco – facciamo che io ero – scaturisce l’azione, in cui scorre sotterranea la traccia di Eschilo: una coperta all’uncinetto posta intorno alle spalle è ora il manto regale di Clitennestra, ora il chitone di Oreste e Pilade, suggestioni antiche che affiorano in una reminiscenza del rapporto madre-figli che si svincola dai personaggi del dramma e abbraccia un’esperienza universale.

Nella pluralità di mezzi espressivi emerge la complessità di questo rapporto, che diventa l’oggetto centrale della performance, declinato al maschile e al femminile: danza e testo, corpo e voce si accavallano e contraddicono. Da un lato affiora un disperato desiderio di distacco: le voci registrate dei figli invocano la libertà da una «madre statuaria» che li investe con la sua fame d’amore. Dall’altro permane un attaccamento malato, che affiora quando Elettra tiene gli occhi fissi su Clitennestra per emularne i movimenti, afferrando e tirando i propri stessi capelli come a costringersi a farlo. Questo legame naturale e viscerale, come suggeriscono le sonorità di succhi gastrici e di uccelli adottate a un tratto, sembra ineludibile, e invece viene letteralmente rigettato quando il latte e il sangue che lo rappresentano vengono sputati in un secchio, in una sorta di rituale di passaggio.

I corpi degli artisti coesistono e si scontrano, guidati verso il compimento della vendetta annunciata – il sangue che chiama altro sangue, riferimento alla tragedia eschilea – dalla musica graffiante curata da Lady Maru, presenza inquietante e pervasiva. L’illuminazione dai toni acidi evoca atmosfere sfrenate da rave, dove l’eccesso apre le porte alla regressione e alla disinibizione: movimenti energici e a scatti, sincopati, si alternano a incisivi momenti di naturalismo, quando la violenza del dramma trova riscontro in una lotta a colpi di peluche perfettamente infantile. Vendetta è fatta, e già le conseguenze si percepiscono sulla scena negli sguardi che Oreste rivolge alle Erinni, spettri della colpa che gli sfilano accanto: compagne dei danzatori fin dal primo momento, acquistano una gravità nuova.

Cifra del lavoro di Cosimi è l’attenzione al gesto tragico nelle sue molteplici manifestazioni. In Coefore Rock&Roll, esso viene sottratto al tempo e, insieme, trasferito nel contemporaneo: imponente e superficiale, intimo ed esasperato, teatrale e quotidiano. Mostruoso e, in fondo, totalmente umano.

Francesca Redaelli


foto di copertina: Piero Tauro

regia, coreografia, scene e costumi Enzo Cosimi
drammaturgia Enzo Cosimi, Maria Paola Zedda
interpreti Alice Raffaelli, Francesco Saverio Cavaliere, Luca Della Corte, Roberta Racis
erinni Natalia Malolepsza, Gaia Giardina, Martina Bossini, Adele Piscitelli, Maria Pia Bruscia, Marta Calluso, Giorgia Bruno, Rosanna Spolsino, Tavishi Pownikar
figuranti Gabriele Interlando, Sabrina Martellucci, Rossella Daverio, Marika Faralli, Silvia Gazzara, Pasquale Minichiello, Erik Rossetto, Angelo Impollonia, Alessio Cavazzana, Giulia Seripanni, Roy Ilagou, Elena Ricci, Giuseppe Surano, Vittoria Trivero, Alice Pagani
musica dal vivo Lady Maru
disegno luci Gianni Staropoli
tecnico luci Giulia Belardi
produzione Compagnia Enzo Cosimi, Mibact, Regione Lazio in collaborazione con RomaEuropa Festival
con il sostegno di Teatro di Roma – Teatro Nazionale
con la partecipazione di Accademia Susanna Beltrami/DanceHaus


Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MILANoLTREview