di Maurizio Camilli e Michela Lucenti / Balletto Civile
visto al Teatro Elfo-Puccini di Milano _ 12-14 giugno 2012
Prendendo spunto dalla nota storia di Pietro Maso, ragazzo ventenne che uccide a sprangate i propri genitori nel 1991, Maurizio Camilli e Michela Lucenti portano in scena la cruda violenza di un’Italia annichilita dall’ignoranza e dall’arrivismo. Il Veneto, regione delle piccole imprese famigliari per eccellenza, della chiusura e della violenza (come già è stato raccontato da altre realtà teatrali originarie del Nord-Est, una tra tutte Babilonia Teatri) è il contesto che inquadra e accoglie la rappresentazione delle contraddizioni e delle malsanità del nostro tempo. Un disagio che porta alla follia e che si riflette nella tragicità dei fatti di cronaca. Tra tutti, i delitti di famiglia: matricidi e patricidi che, se in epoche passate assumevano significati archetipici o risolvevano questioni di onore e vendetta, oggi sembrano tragicamente appiattirsi a uno stato di diffusa e assopita normalità. Si arriva così a chiedersi se “quei figli, che noi siamo tentati di definire come mostri, non siano invece i figli più logici, più sinceri, più coerenti al sistema di cui noi stessi siamo protagonisti”, come ha detto David Maria Turoldo sul caso Maso. Ed è proprio questa la riflessione che ha portato Maurizio Camilli a ideare e scrivere Col sole in fronte, spettacolo di cui è anche interprete. Il protagonista ritrae una generazione disposta a tutto pur di ottenere ciò che vuole nel minor tempo possibile: un ragazzo cinico senza progetti per il futuro ma con la smania del lusso e del potere. Un rampollo pieno di sé, col desiderio di liberarsi da ogni vincolo e di ogni responsabilità per godere indisturbato dell’eredità dei genitori, delle notti in discoteca, della propria ricercata solitudine, “col sole in fronte”. Servito e coccolato da una cameriera di colore, che a tratti assume le forme di amante e di madre, progetta lucidamente il suo domani più immediato tramite l’eliminazione della madre, che dovrebbe seguire la recente morte del padre.
Lo spettacolo, più che della sua struttura drammaturgica, vive della completezza della performance: come in altre creazioni di Balletto Civile, la parola è protagonista quanto il corpo, il teatro dialoga con la danza e grazie alla forza di questa sinergia lo spettacolo si fa potente e immediato. Non è un caso che la coreografia di Michela Lucenti sia definita “scrittura fisica”: una grafia del movimento che ha lo stesso peso, se non di più, del testo. Questo certamente anche grazie alla presenza corporea e alla padronanza del gesto dello stesso Camilli, protagonista in scena insieme a Ambra Chiarello. L’attore-danzatore esibisce un corpo plasmato e perfetto, padrone di se stesso, che si mostra con sicurezza e arroganza davanti a un pubblico che suo malgrado si fa ammaliare e diviene complice di quella crudeltà. L’opposizione tra la perfezione del movimento e la semplice e grezza ironia delle parole rappresenta in modo immediato il vuoto e la fragilità di una vita basata sull’evidenza degli oggetti. Per quanto si nutra del contrasto e della sinergia con la danza, la drammaturgia pecca di qualche debolezza che a tratti penalizza il ritmo dello spettacolo: i momenti più riusciti sono quelli in cui il gesto si sostituisce alla parola permettendo un accesso non mediato agli stati d’animo e ai pensieri del protagonista. Fino alla danza-lotta in cui i ruoli si invertono, il figlio carnefice è allo stesso tempo vittima, accasciato tra le braccia di una donna-madre. Non è forse un caso che una delle immagini finali evochi un’icona dell’arte: che alle accuse per quei figli “coerenti” e “sinceri” del nostro sistema malato debba subentrare la Pietà?
Francesca Serrazanetti