Alzi la mano chi maledice la sveglia ogni mattina. Non vorremmo forse continuare a dormire, protraendo una condizione di incoscienza che percepiamo come ristoratrice? Eppure, il sonno a cui ci abbandoniamo è una forma di sparizione che accettiamo, e anzi ricerchiamo, attribuendole un valore inspiegabilmente positivo.
«Forse perché sai che torni», azzarderà la voce registrata di Luca Oldani, autore e interprete di Assenza sparsa, per provare a sanare questa apparente contraddizione, prospettatagli durante il confronto con un medico. E se invece si scivolasse dal sonno alla morte, per quella sinistra parentela che lega Hypnos al fratello gemello Thanatos?
Tre sedie, disposte una accanto all’altra, perpendicolarmente alle file di spettatori, e un cuscino bianco, appeso al soffitto di Radici – Bottega di quartiere, bastano a catapultarci nella sala d’attesa di un ospedale. Qui – lo scopriremo a poco poco dalle parole dell’unico personaggio in scena – è ricoverato un amico finito in coma in seguito a un grave incidente: solo dei macchinari tengono in vita un uomo di cui è stata dichiarata la morte cerebrale.
Fuori dalla sala di rianimazione, la figura di Oldani, un visitatore impacciato, si cimenta in tentativi di gestione e accettazione del dolore attraverso un flusso di coscienza che, come in un montaggio cinematografico, passa di scena in scena, tratteggiando ipotetici incontri e reazioni: le frasi di circostanza da rivolgere a una madre disperata, l’abbraccio per confortare un altro amico, la fatica di impegnare il tempo là dove vige il divieto di fumare. Alla tragicità della situazione fa da continuo contrappunto un tono ironico, capace di attraversare la sofferenza senza censurare pensieri apparentemente inopportuni: dall’euforia nel rivedere vecchie conoscenze alle battute su discutibili modi di dire (ad un in bocca al lupo rispondiamo “crepi” o “viva”?), dalle digressioni sul sesso ai movimenti nervosi che quasi mimano un “ballo dell’estate”, una dimensione di leggerezza avvolge i sessanta minuti di spettacolo, senza però sacrificare un’emotività più raccolta. Il sentimento di tenerezza che sorregge un’amicizia di lunga data emerge in modo vivido quando si immagina il luogo di un’eventuale sepoltura, dove portare alcuni oggetti che lo rendano più accogliente: una carta dell’Europa si potrebbe colorare con tonalità diverse in base alle città in cui vivono gli amici, un lumino giallo – molto meglio del classico rosso associato esclusivamente al dolore – farebbe pensare ai girasoli e alla maionese, una teiera con cui riempire la tazza preferita rievocherebbe i sabati pomeriggi trascorsi insieme. Il catalogo dei piccoli gesti di cura su cui si fondano le relazioni è concluso da una «lista sparsa delle cose che non sentiremo più», ritrovata a fatica, dopo aver rivoltato le tasche dei pantaloni. Ne fuoriescono semi che si spargono sul pavimento e indicano la via per preservare la presenza: se a chi non c’è più si prova a strappare un accordo, un codice per riconoscersi (una parola d’ordine, una canzone o una foglia di fico che cade), a chi rimane spetta il compito di coltivare il rapporto. E se un cartello nel giardino dell’ospedale vieta di innaffiare le piante? Non resta che tramutarsi nell’operatore preposto, indossando una tuta da lavoro, rovesciare del terriccio e allestire un intero vivaio.
Nadia Brigandì
in copertina: foto di Davide Aiello
ASSENZA SPARSA
Di e con Luca Oldani
Dramaturg Jacopo Bottani
Con il contributo audio di Dott. Paolo Malacarne, Dott. Ugo Faraguna, Dott. Francesco Tani
Con il sostegno e la produzione in residenza di Fondaz. Policlinico S.Orsola ONLUS Bologna
Produzione Teatro della Caduta
Sostegno di Fivizzano 27, Carrozzerie Not, Teatro India, Teatro di Roma, Mittelfest, Polline Fest e Officine Papage
Contenuto scritto nell’ambito dell’osservatorio critico di FringeMI 2024