All of these lines across my face/ tell you the story of who I am”

                                                                                        –  B. Carlile, The Story

“L’identità di cos’è fatta? Immagini, esperienza, niente? Esiste?”, sono queste le domande che mi rimbalza in un’intervista Noemi Bresciani, ribaltando i ruoli dell’interrogante e dell’interrogato. L’urgenza di queste stesse domande sembra costituire il motore di tutta la ricerca collettiva di Fattoria Vittadini: è dall’ardore di questi interrogativi, infatti, che nascono lavori duttili come Fragile, in cui la maglia di un disegno registico prestabilito si allarga ad accogliere una vasta varietà di proposte originali e di improvvisazioni. Si tratta di progetti che vedono fortemente valorizzata l’iniziativa personale, fondate sull’apporto di molteplici storie ed esperienze individuali (si pensi anche ai frammenti di vita che forniscono il materiale di costruzione di uno spettacolo come iLove), nella convinzione che l’identità si comprenda e componga a partire da un incrocio di sguardi, da una contaminazione tra punti di vista anche distanti, ma che ci aprono – per dirla con Sanguineti – “a dimensioni diverse, altrimenti ignote e insospettabili”. Un’acuta capacità di ascolto e di critica reciproca: sono questi gli ingredienti necessari a un simile metodo di lavoro, così che la liquidità del collettivo non porti tutti gli slanci individuali a infrangersi e disperdersi come onde, ma diventi costruzione di una comune architettura. Così tutti i fili potranno incontrarsi a comporre la trama di una storia comune, le linee di un volto, quello di Fattoria Vittadini, espressivo e mutevole, ma riconoscibile e cosciente dei passi compiuti.

Gianmarco Bizzarri