di Dario Fo e Franca Rame
regia di Renato Sarti
visto al Teatro della Cooperativa di Milano _ 6-26 ottobre 2014

È il 1983 quando Franca Rame e Dario Fo presentano Coppia aperta, quasi spalancata, che viene subito vietato ai minori di diciotto anni dall’allora Ministero dello spettacolo. Ugo Volli, indignato dall’ipocrita atto di censura, titola il proprio articolo su Repubblica: “Oh che scandalo, qui si parla di sesso, di sessi, e forse della vita”. E da allora il discusso e fortunato atto unico è stato quasi ininterrottamente rappresentato in Italia e all’estero.
Oggi è il Teatro della Cooperativa a riprendere il testo di Fo/Rame: la regia è di Renato Sarti, e in scena ci sono Valerio Bongiorno e l’apprezzata attrice comica Alessandra Faiella (nella scorsa stagione molto applaudita in Nudi e crudi di Bennet, accanto a Max Pisu). I due coniugi discutono di amore e tradimenti in una selva di tapis roulant e cyclette, un campo di battaglia in versione wellness che riflette una delle più pervasive nevrosi contemporanee. È brava Faiella a fare i conti con la difficile eredità della Rame, a stornare il rischio dell’imitazione, a prendere una strada del tutto personale; i ritmi scorrono e il pubblico, sottoposto a un implacabile fuoco di fila di battute, ride e sta al gioco.

Ma quale effetto fa, oggi, quel testo scritto ormai più di trent’anni fa? Sarti, che è regista ma anche drammaturgo, ovviamente si è posto il problema: ha tolto la polvere da qualche battuta, inserito nel testo le proposte di improvvisazione degli attori, pensato a un colpo di scena finale più in linea con i tempi. Ed ecco che la donna accusa il marito di utilizzare discorsi “da anni ’70”, e fanno il loro ingresso Renzi, Lady Gaga e Gabriel Garko. Ma allora Coppia Aperta metteva alla berlina le ipocrisie e le contraddizioni dei più militanti – che predicavano libertà e parità dei sessi, e poi si comportavano con lo stesso maschilismo dei più arretrati conservatori – mentre oggi le cose sono cambiate: i disequilibri amorosi e i tradimenti, mai passati di moda, occupano un posto diverso nel dibattito politico. Al di fuori di quel contesto caldo, la modalità leggera scelta da Fo e Rame per infrangere un tabù (“I poveri maschietti si sentono dire cose cui non sono abituati, che di solito non discutono”, spiegava la Rame) rischia di sembrare un mero gioco di coppia, di accarezzare una piaga ahinoi ancora aperta, di limitarsi all’intrattenimento. Questo, se anche la forza eversiva del testo si è attenuata, continua del resto a fuzionare perfettamente: il copione scorre rapido, le strutture comiche reggono, attori e regia sanno bene come valorizzarle.

Maddalena Giovannelli