«Cosimo Piovasco di Rondò – Visse sugli alberi – Amò sempre la terra – Salì in cielo».
All’ombra della Restaurazione si conclude, in volo, la parabola arborea del Barone Cosimo Piovasco di Rondò, salito sugli alberi a dodici anni come gesto di ribellione e mai più disceso.
Nel centenario della nascita di Italo Calvino, e a sessantasei anni dalla pubblicazione del romanzo, questo classico molto amato della letteratura incontra, per la prima volta, il palcoscenico. È Riccardo Frati a curare la regia e l’adattamento del secondo capitolo della Trilogia degli Antenati, per una nuova produzione targata Piccolo Teatro di Milano. Il giovane regista è al suo secondo lavoro: ha già firmato un adattamento del Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry, prodotto da ERT – Emilia Romagna Teatro nel 2021. E anche questa lettura del Barone Rampante suggerisce, forse, qualcosa dell’immaginario che Frati sta costruendo: fiabe dalla matrice filosofica, con protagonisti in fase prepuberale, saccenti e provocatori, talvolta immaturi, capricciosi, arroganti, ancora infantili, ma degni scopritori di prospettive e universi nuovi.
Così Cosimo, per non mangiare un piatto di lumache, fugge sull’elce del giardino di casa, villa d’Ombrosa. E si rifiuta di scendere, per sempre. È Biagio, ormai anziano, a narrare la storia del fratello maggiore e così lo vediamo quando s’alza il sipario, interpretato dal convincente Giovanni Battaglia. Il desco è apparecchiato, nero lo sfondo: entrano i personaggi, si dispongono tutt’attorno al tavolo e subito nella presentazione assumono marcati tratti anti-psicologici, quasi caricaturali, come l’Abate Fauchelafleur (Michele Dell’Utri) che s’addormenta di continuo e non conclude mai un discorso, o la madre Generalessa Corradina (Diana Manea) che parla un po’ tedesco e un po’ italiano standard, scevro da inflessioni. Ma è soprattutto il portato infantile di Cosimo (Francesco Santagada), a partire dalla sua prosodia, a lasciare qualche dubbio: davvero il rampollo Piovasco di Rondò è soltanto un moccioso capriccioso, che, figlio d’un privilegio, si concede il lusso d’una bizza senza fine?
Il gesto di Cosimo, sia chiaro, è ricco d’interpretazioni – si vedano le parole illuminanti di Bruno Falcetto e Mario Barenghi che hanno curato il Meridiano dedicato a Calvino – e vale la pena sospendere il giudizio di una sola lettura possibile, lasciando a ognuno la ricerca di propri significati; però, il Barone rampante, pur saldo nella sua scelta, cresce, si trasforma, assiste ai rivolgimenti a lui contemporanei, con la sua intelligenza e caparbietà concepisce un modello di vita alternativo, invecchia. Eppure Santagada muta poco con lui. L’esasperata ostinazione fanciullesca rischia di annullare la prismaticità d’un personaggio.
Si genera allora un sospetto straniante, che si allontana dalla leggera complessità e stratificazione di Calvino. Le peripezie di Cosimo a teatro si sovrappongono grossomodo al romanzo: l’incontro e la relazione con Viola; il rapporto con i familiari e le avventure col fidato amico Ottimomassimo; il bandito Gian dei Brughi che si appassiona di letteratura e filosofia e, ormai catturato e prossimo all’esecuzione capitale, vuol sapere come vada a finire Clarissa di Richardson; l’incendio del bosco; i pirati e la fuga sull’“albero” maestro di una nave; la Rivoluzione Francese e l’avvento di Napoleone; la morte della madre Generalessa; l’ascesa al cielo finale. Insomma, pressoché tutti gli episodi del libro trovano spazio nella messinscena, ma risultano quadri giustapposti, esercizi di stile che faticano a esprimere l’organicità romanzesca di una vita, di un pensiero, di un mondo in evoluzione, di un processo storico. Risulta, così, un impianto drammaturgico molto fedele al dettato calviniano, che diviene però un susseguirsi di episodi e di vicende, talvolta frenetico, e che rischia di smarrire lo spessore riflessivo del Calvino narratore. Penso, per esempio, alla lunga sequenza di Gian dei Brughi, che assume tratti quasi cronachistici, mancando di quell’indagine filosofica e culturale che, invece, lo scrittore offre. Si ha la sensazione di rimanere su una superficie, di corrervi sopra, intravedendo nel sottosuolo qualcosa che non si riesce, come Tantalo, ad afferrare. Tutto appare volto alla salvaguardia di una trama, pur in una netta e coraggiosa scelta di ambientazione incantata.
Le scene, curate da Guia Buzzi, sono in effetti magnifiche, così come il disegno luci di Luigi Biondi e gli splendidi costumi da fine Settecento di Gianluca Sbicca. Scale sospese si muovono e si incastrano a mezz’altezza, tra drappi a mo’ di fronde, facendo volteggiare Cosimo e i suoi ospiti tra i rami di una immaginifica foresta. L’impianto visuale, ben studiato ed efficace, funziona e contribuisce a conferire corpo a un’ambiente sempre più fiabesco: catapultati in un sogno dai colori sgargianti e luci pastello, ci si immerge in una dimensione altra, quasi fantastica.
Traspare, in fondo, una grande ostinazione: quella stessa che allontana Cosimo da Viola e sublima il loro amore in qualcosa d’impossibile e irraggiungibile, un “amore difficile” fatto anch’esso di incomunicabilità e rimpianti. Rimangono allora la ribellione, la volitività, la pervicacia, le conseguenze di una scelta, la consapevolezza della diversità, un’utopia possibile, una bella fiaba. Ma sarà abbastanza?
Lo spettacolo fa il tutto esaurito, tante sono le scolaresche: chissà che abbia prodotto – almeno per qualcuno, nonostante le tre ore in sala – il frutto sperato di avvicinare linguaggi e prodotti artistici, di trascendere i piani, di superare la falsa credenza di un Barone relegato alla letteratura per ragazzi, di riuscire con “leggerezza” ad affrontare l’intricato presente. In caso contrario, resterà la bella storia del Barone Cosimo Piovasco di Rondò, rampante sugli alberi d’Ombrosa.
Andrea Malosio
foto di copertina: Masiar Pasquali
IL BARONE RAMPANTE
di Italo Calvino
adattamento e regia Riccardo Frati
scene Guia Buzzi
costumi Gianluca Sbicca
disegno luci Luigi Biondi
composizione musicale e sound design Davide Fasulo
animazioni Davide Abbate
con (in ordine alfabetico) Mauro Avogadro, Giovanni Battaglia, Nicola Bortolotti, Michele Dell’Utri, Diana Manea, Marina Occhionero, Francesco Santagada
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa