Vitreae Vultus
DIEGO TORTELLI

Un pavimento rosso racchiuso da pareti scure: così si presenta la scena della sala Fassbinder dell’Elfo Puccini. D’improvviso però qualcosa cambia: compaiono corpi, vestiti di semplici abiti bianchi, che, come fragili insetti scoperti a scavare la terra, si aprono varchi in quelle mura nere. E mentre una voce fuori campo racconta dell’uomo e del suo rapporto con l’arte, un riflettore illumina un microfono. È quasi un segnale: in scena si forma un coro compatto che bombarda di bisbigli incomprensibili l’individuo che, staccatosi dal gruppo, ora lo fronteggia danzando da solo. Lo sguardo di Diego Tortelli sull’arte e sul corpo è così: un continuo mutare, una rapsodia di immagini e forme a cui abbandonarsi. Ecco infatti che la scena cambia ancora: le pulsazioni della musica si fanno più dure e due figure maschili si tramutano in mostri. Corpi bianchi di uomo, teste bianche di toro: la loro lotta riempie il palco. Movimenti serrati li uniscono in forme geometriche perfettamente simmetriche; la forza delle linee scolpite dalle loro braccia colpisce in pieno petto lo spettatore, lasciandolo pietrificato come in trance. Una trance arcaica quanto il labirinto del Minotauro, ma abbagliante quanto il nitore della contemporaneità che trova nella danza la sua sintesi perfetta.

Escapin’ Timelandia
MATTEO BITTANTE

Quattro lunghe pertiche strisciano a terra con un rumore sordo. I danzatori, imbracciandole, diventato le gigantesche lancette di un orologio, e, subito dopo, rematori in tempesta. La rigidità e la durezza del legno costituiscono la “fibra” dei quadri che si susseguono senza soluzione di continuità sulla scena che ospita la sequenza coreografica di Matteo Bittante. Si entra quindi fra le sponde di un serratissimo ring: una danza compatta e rigidamente sincronica sembra sfidare lo spettatore dal palco, lanciando messaggi aggressivi, di forza e tenacia. “Start the fight, you won’t laugh!”si sente gridare mentre vengono ostentati sfrontati bicipiti. Eppure, questo ‘braccio di ferro’ si risolve in un gesto di  fragilità: al cuore di questa violenza, si cela infatti un amore, teneramente voluto e sempre osteggiato. Così mentre in scena risuona la musica di un carillon, un corpo maschile e uno femminile, nudi e palpitanti, si cercano, affrontando la rivalità fra gli uomini e l’ostacolo dei bastoni che gli ruotano attorno. Le pertiche di legno sono ora spade pronte a trafiggere, ora  lunghissime braccia che travolgono e accolgono. Si alzano a creare una grata dagli stretti passaggi: sono istanti di esitazione e paura, ma gli amanti, offrendosi attento sostegno, riescono a varcare la soglia.

Nicola Fogazzi