regia di Nikos Karathanos
Visto al Teatro Nazionale di Atene _8 novembre 2014
Boccaccio in Grecia: sold out nella scorsa stagione, continua a registrare il tutto esaurito. Quali gli ingredienti? Uno scheletro, tre materassi, un telone illuminato, e soprattutto quattordici corpi, che si denudano con naturalezza, mostrando la freschezza o il peso degli anni, senza tabù e lontano da ogni sospetto di esposizione pornografica. Una corporeità poetica che a tratti ricorda la versione cinematografica di Pasolini (1971).
La prima scena riesce a mescolare il brivido del sacro al comico: siamo accolti da figure nerovestite, badesse e preti salmodianti illuminati da candele, intorno a un letto-catafalco dove giace il morituro. L’atmosfera di mistica attesa si risolve però nel violento intervento di un “addetto ai lavori”, specialista nell’accelerare l’istante estremo, e anche la pietosa assemblea si può sciogliere. Dalla cornice di morte, dove il corpo è in balìa di cure o violenze, veniamo introdotti nel mondo degli istinti erotici: l’iniziazione all’amore delle badesse (novella di Masetto da Lamporecchio, III.1), ma anche il trionfo dell’astuzia (Lidia, VII.9, che riesce a imbrogliare il marito e a sollazzarsi con l’amante senza che l’altro ne sospetti), o il lieto fine di un ménage à trois (Pietro da Vinciolo,V.10).
Esilarante è l’episodio di frate Alberto, che seduce la nobildonna fingendosi uno splendido Arcangelo Gabriele (IV.2): l’attore, completamente nudo, indossa delle finte ali e corre per la scena tenendo fra le braccia la sua preda, una pia donna piena di complessi. E il trionfo dell’eros sta tutto nel grido di lei: “Gabriele, io sono bellissima, sono la più bella di tutto il Decamerone!”.
L’eros è istinto animale, come nel caso della povera comar Gemmata trasformata in asina (IX.10), o perdizione (mettere il diavolo nell’inferno, III.10), ma soprattutto sfogo edonistico e festa dei sensi, come nella divertente notte in cui un unico letto a due piazze viene condiviso dai quattordici interpreti, impegnati in complicate contorsioni erotiche per occupare almeno un centimetro del materasso.
Il trapasso dei toni da una novella all’altra è condotto in forma magistrale, attraverso luci, musica dal vivo, spostamenti veloci sulla scena in vorticanti rotazioni. Non mancano elementi tipicamente greci in questo Boccaccio ateniese: nel delineare il delicato amore di Federigo degli Alberighi (V.9), le parole del narratore (i boschi, la caccia al falcone, il dolore del cavaliere cortese) si trasformano in poetiche e palpitanti evocazioni di luci e ombre dietro il berdès, tradizionale telo del teatro delle ombre.
Un altro stratagemma riesce a stemperare la violenza macabra della novella di Lisabetta da Messina (IV.5), che taglia la testa dell’amato ucciso e la sotterra in un vaso di basilico: inutili in questo caso le parole, perché lo spettatore vede la vicenda svolgersi muta e brutale davanti ai suoi occhi, finché un profumo inebriante invade la scena e la stessa Lisabetta, quasi novella Ofelia, passa tra il pubblico a regalare rametti di basilico.
Si esce leggeri, consapevoli di aver partecipato a una festa mistica dei sensi, libera da convenzioni e pregiudizi. Un eros al profumo di basilico che “non è peccato”, come ripetono gli attori alla fine dello spettacolo. Un “esorcismo” ben riuscito contro la morte e la peste contemporanea della crisi.
Gilda Tentorio
Questo contenuto fa parte di “Sguardi sulla Grecia”.
Un progetto a cura di Gilda Tentorio.