«Nessuno crede che il teatro possa cambiare il mondo e va bene così». Questa premessa, gettata un po’ casualmente agli spettatori, risuona lungo tutto l’arco dello spettacolo I danni del pomodoro, scritto, diretto e interpretato da Luca Spadaro. Nel piccolo e accogliente auditorium di Fondazione AEM, il FringeMI ospita quella che si presenta come una paradossale conferenza sul pomodoro. In piedi su uno step, vestito elegante, Spadaro elenca le proprietà di diverse piante delle Solanacee, tra cui, ovviamente, il pomodoro. E non smette mai di muoversi, di darsi un ritmo con il suo step. Questo impianto, tuttavia, ben presto crolla: l’attore si sbaglia, cade, sparge tutti i suoi fogli sul palco, cerca di andare a memoria ma non riesce. Una gran confusione che però rivela, pian piano, i due nuclei fondanti dello spettacolo: la tragica vicenda di Camara Fantamadi, raccoglitore di pomodori morto di fatica e di caldo, e il percorso accidentato ma buffonesco di Spadaro stesso come artista. L’attore/regista si perde quindi nel racconto del suo lavoro, intrecciandolo con quello dello sfruttamento dei lavoratori del caporalato e cercando legami e affinità. Il tentativo è di mettere l’accento su una questione fondamentale: come è possibile raccontare un fatto così sconvolgente in modo onesto, senza appropriarsene e senza scadere nel patetico, paragonando l’artista e il bracciante?
Già dal titolo, lo spettacolo richiama il Čechov de I danni del tabacco e la sua impostazione drammaturgica: un conferenziere dovrebbe parlare di un certo tema ma si perde o, meglio, appare più importante e decisivo parlare di sé, del proprio disagio. Spadaro è molto abile nell’inserire se stesso e il mondo a lui più affine nel flusso: gli affetti personali, le difficoltà del teatro, la vita di tutti i giorni. E arriva a citare anche Milo Rau, artista svizzero di fama internazionale, che si è dedicato alla questione del caporalato con il lavoro Il nuovo Vangelo. Ma Rau – come manifesta lo stesso attore – resta irraggiungibile, per mezzi e possibilità tecniche e artistiche. L’esplicitazione di questi riferimenti teatrali diviene la dichiarazione dell’impossibilità di concentrarsi su un tema sociale così straziante per chi si trova in una situazione privilegiata. Non esiste vera empatia, perché l’unico dolore che conosciamo è il nostro, dice Spadaro. Eppure, quando un dramma socio-politico si identifica in una storia particolare, con un volto, come quello di Camara Fantamadi, è possibile ritrovare una connessione empatica. Lo spettatore però è da subito portato a dubitare della realtà che vede, se gli errori dichiarati in scena siano tali: addirittura non è chiaro se l’attore stia bevendo acqua per rinfrescarsi o Negroni e sia effettivamente ubriaco. Risate spontanee attraversano la platea di fronte al buffo fallimento di un uomo che mostra gli stracci della sua vita lavorativa.
Lo sforzo fisico dato dal continuo movimento risulta quasi grottesco rispetto alla fatica del lavoro agricolo. Per non tacerne, l’unica opzione che resta è parlarne comunque, esponendo la propria consapevolezza e libertà: «Io non faccio sul serio e quando voglio mi posso fermare». Non c’è moralismo nelle parole di Spadaro, ma un continuo tentativo di affrontare un tema difficile. E ancora un altro tassello della nostra indifferenza: parlando dei mondiali di calcio in Qatar, l’attore ricorda il numero di operai morti durante la costruzione degli stadi, sacrificati al piacere di assistere a quel grande rito. Racconta così le partite della sua Svizzera ed esplicita il suo menefreghismo verso quei lavoratori, perché anche lui fa parte di chi non reagisce, di chi vuole vedere soltanto ciò che è comodo. La china tra credere o non credere, tra apprezzare l’attore o odiarlo, tra totale immersione nel meccanismo scenico e straniante disagio per quelle parole accostate in modo burlesco, è molto sottile e Spadaro mantiene l’equilibrio, senza cadere. Per noi spettatori, a cui viene consegnato un pomodoro proprio alla fine dello spettacolo, il gioco è invece aperto.
Giacomo Fausti
in copertina: foto di Davide Aiello
I DANNI DEL POMODORO
di e con Luca Spadaro
aiuto regia Silvia Pietta
assistente alla drammaturgia Sebastiano Bottari
assistente e responsabile tecnica Francesca Brancaccio
produzione Teatro d’Emergenza
Contenuto scritto nell’ambito dell’osservatorio critico di FringeMI 2023