Giunta alla settima edizione, la rassegna Stanze non perde il suo spirito originale, animato da freschezza e qualità. Merito delle attente ideatrici del progetto, Alberica Archinto e Rossella Tansini, che invitano a esibirsi in spazi ogni volta diversi e originali, protagonisti mai scontati della scena italiana, andando alla ricerca di testi-spin off che spesso riservano più di una sorpresa. Accade anche nel caso dell’appuntamento presso l’incantevole Casa museo Boschi Di Stefano per la messa in scena di Destinatario sconosciuto, adattamento e regia di Rosario Tedesco – quarantenne di formazione ronconiana, membro acquisito dell’autorevole famiglia teatrale di Antonio Latella e nome ben noto anche fuori Italia – ispirato al romanzo omonimo della scrittrice statunitense Kathrine Kressmann Taylor, ambientato tra la Germania e gli Stati Uniti negli anni torbidi dell’ascesa del nazismo.

Il testo originale è composto da una serie di lettere che si scambiano Max e Martin, due amici e soci d’affari che hanno costruito insieme un commercio di opere d’arte; uno ebreo, l’altro tedesco, vivono  tra America e Germania. Martin si ritira infatti a Monaco con la famiglia, moglie e figli sempre più numerosi; Max, invece, suo alter ego, è rimasto sulla West Coast e da lì continua a vendere quadri ad anziane signore che riconoscono nelle sue radici semite un consiglio che è una garanzia in fatto di tele e sculture. No, non andrà presto in Germania, e non metterà la testa a posto con le donne, come gli chiede affettuosamente l’amico, che lo considera uno di famiglia e per questo lo vorrebbe vicino alla sua allegra brigata o a tenere compagnia all’affaticata giovane moglie incinta.

Questa atmosfera gioiosa,  ricca di promesse e prospettive non può però durare a lungo, nemmeno in nome di un’amicizia inattaccabile, organismo in salute con vita a sé stante, che non vuole rispondere alle logiche oppositive della politica: Hitler ha preso il potere, i suoi uomini sono sempre più nei ruoli chiave dello stato e qualcosa sta cambiando profondamente la natura  del popolo tedesco. Un popolo che si sta rialzando – non nasconde l’euforia Martin nelle sue incalzanti lettere, in cui annuncia una promozione importante in un ruolo pubblico – dopo la sconfitta nella Prima Guerra mondiale.

E mentre muta l’identità profonda della nazione, muta anche quella del destinatario delle lettere di Max, sempre più incredulo dell’adesione dell’amico all’ideologia hitleriana. Max scrive e parla a Martin, prova a fargli aprire gli occhi ma è come se ora fosse un fantasma l’amico e socio di tanti successi, nascosto nel simulacro di un piccolo gendarme “montato” dalla propaganda nazista perché scoppi il suo odio antisemita. E così infatti accade. I toni si fanno prima aspri, poi incandescenti, poi ostili. In America arrivano notizie di roghi di libri e delle prime persecuzioni razziali. Max scrive, ma ora il suo destinatario è sconosciuto. Anche quando il mercante americano chiederà aiuto per la sorella, giovane attrice in forze a Vienna, capitata a Berlino nei giorni tumultuosi degli arresti e con il quale lo stesso Martin, da ragazzo, aveva avuto una relazione, la lettera non avrà risposta. In nome di un’amicizia tradita Max, sempre più sofferente e incredulo, troverà il modo di riscattare il silenzio e il rifiuto del tedesco. E la drammaturgia trova il suo scacco finale come in un thriller modernissimo, dove cacciatore e preda arrivano a confondersi, in una caccia all’uomo che altro non è se non lotta per la sopravvivenza.

È  tutto perfetto nella costruzione di Tedesco, a cominciare da lui e dal suo antagonista, Nicola Bortolotti, altro quarantenne dalla solida formazione ed esperienza. I ragazzi sono affabili nei momenti  ‘comuni’  a contatto con il pubblico, che spesso precedono le repliche di Stanze, entusiasti ed entusiasmanti nell’interpretazione, impeccabili nella costruzione della tensione drammaturgica, essenziali nella recitazione ma capaci di sfruttare al massimo le potenzialità di un luogo come la Boschi-Di Stefano, che sembra amplificare, con alcune delle sue opere novecentesche che proprio a quegli anni appartengono, lo spirito della riscrittura. Che è quello di un’opera corale – sebbene in scena gli attori siano solamente due – perché in grado di raccontare traumi e riflessioni che ci appartengono e non ci lasciano, in una dimensione europea, con un testo che avrebbe lo stesso impatto se rappresentato in Francia, Germania, Austria… Le musiche da Mozart, Weber, Hindemith, eseguite dal vivo da un gruppo di notevoli giovani cantanti, completano il ritratto inclemente di un’epoca e dei suoi protagonisti. Cinquanta minuti col fiato sospeso, un pezzo di autentica bravura e rigore: speriamo di vederlo e rivederlo, magari ampliato e già nella prossima stagione.

Francesca Gambarini

Destinatario sconosciuto
di Kathrine Kressmann Taylor
adattamento e regia di Rosario Tedesco

Visto nell’ambito di Stanze alla Casa museo Boschi Di Stefano_10 maggio 2017