Dialogo con Michela Priuli, coreografa di 1° movimento

 

1° movimento è il tuo primo lavoro come coreografa. Qual è stato il punto di partenza per la creazione?

L’origine di questo lavoro risale a sette anni fa, a una prima ispirazione nata in seguito all’ascolto della Quinta Sinfonia di Beethoven durante gli anni di studio in accademia (Accademia Susanna Beltrami, ndr). Mi sono poi dedicata ad altri progetti, accantonando l’idea iniziale, che ho però riscoperto durante il lockdown del 2020. Ovviamente mi trovavo in una situazione completamente diversa, ma ho mantenuto l’idea della sinfonia, trasformandola in un movimento: 1° movimento, per l’appunto.

La musica svolge un ruolo significativo in questo lavoro. Che importanza attribuisci ai brani che utilizzi?

La musica è stata ciò che mi ha portato in sala prove. Mantenendo l’idea del “destino che bussa alla porta”, come Beethoven definiva la sua Quinta Sinfonia, mi sono ispirata all’utilizzo del Preludio del Tristano e Isotta nel film Melancholia di Lars von Trier per evocare l’idea di qualcosa che incombe. In 1° movimento questa sensazione porta i personaggi a modificarsi, a rivalutare le proprie convinzioni e i propri egoismi, comprendendo che c’è qualcosa di più importante delle piccolezze quotidiane. Sul finale infatti si spogliano dei vestiti, che li identificavano come appartenenti a un gruppo sociale, per tornare a un contatto umano più diretto e sincero, che li faccia sentire al sicuro, pur nella consapevolezza di questa sensazione che incombe sulle loro vite.

foto di Matteo Bittante

I tre personaggi in scena potrebbero essere sembrare una coppia composta da moglie e marito, insieme a una figura non meglio identificata che indossa una maschera con le fattezze di una signora anziana. Come si è sviluppato il processo creativo di costruzione dei personaggi?

Essendo nato durante il lockdown in 1° movimento ho voluto inserire uno studio sulle relazioni fortemente influenzate dalla situazione che stavamo vivendo: una sorta di cattività in cui sono esplose dinamiche inaspettate. I tre personaggi sono figure legate al contesto famigliare, quasi degli archetipi che incarnano abitudini, valori e caratteristiche universali. La figura anziana indossa una maschera che la caratterizza in quanto tale, mentre gli altri due personaggi sono anch’essi maschere, pur non indossandone fisicamente una: modificano il proprio atteggiamento a seconda della situazione in cui si trovano. L’uomo, ad esempio, è manipolatore e quasi violento nei confronti della donna, ma cambia totalmente quando si avvicina alla figura materna.

Sono quindi personaggi che subiscono modifiche imposte dall’esterno? Qual è il rapporto con l’ambiente in cui agiscono?

La divisione spaziale sulla scena rappresenta la differenza di comportamenti che noi stessi assumiamo in diversi contesti: quando i personaggi sono sul proscenio è come se fossero esposti alla società, quando invece si trovano verso il fondale sono in una zona limitata e privata. La spazialità modifica i loro comportamenti. Questo lavoro è una lente sulle relazioni e sulle sfaccettature delle nostre personalità, che vengono influenzate dai contesti in cui agiamo o siamo costretti a vivere.

Nel lavoro si nota una sinergia tra il movimento e l’elemento espressivo affidato al volto degli interpreti. Quanto è importante l’elemento teatrale nel tuo lavoro come coreografa?

Fin dalle prime fasi di creazione sono andata oltre la pura componente fisica, mi interessa molto la costruzione di una drammaturgia. Nelle prime scene del lavoro si compone una sorta di album di famiglia, con immagini iniziali che vengono poi riproposte ed esplorate durante il lavoro. Partendo da questa idea è venuto abbastanza spontaneo che non ci fosse solo la parte fisica ma anche una più teatrale ed espressiva. Credo che lo stesso concetto si possa applicare alle relazioni, in cui è importante la componente fisica, ma è necessario anche lavorare su altri piani, più emotivi e sensibili.

Dialogo con Lorenzo Morandini, coreografo e interprete di Idillio – Hosanna in excelsis

 

Idillio– Hosanna in excelsis è il tuo primo progetto coreografico, un lavoro che stai portando avanti dal 2019. Qual è stata la sua origine?

Idillio è nato durante il percorso Incubatore per Futuri Coreografi del C.I.M.D di Franca Ferrari, in cui ho avuto l’opportunità di sviluppare un mio progetto personale. Come prima ispirazione, ho lavorato sui concetti di sistemi e significati, anche attraverso lo studio del Trattato di semiotica generale di Umberto Eco. Mi intriga l’idea che a livello artificiale tutte le cose debbano avere un determinato senso e uno scopo pratico mentre nell’elemento naturale non ci sono queste logiche razionali, ci sono sistemi diversi che io non riesco a comprendere appieno. Da qui è partita la mia esplorazione. 

C’è stato quindi uno studio dell’ambiente naturale per arrivare alla creazione della coreografia?

Ho studiato il territorio da dove provengo, e nel percorso di creazione ci sono state alcune fasi di studio all’aperto, anche se più che sulla relazione con il paesaggio mi sono concentrato sull’intenzione e i significati dietro al movimento. La creazione è partita come un’analisi della contrapposizione tra artificiale e naturale, che era per me anche un doppio modo di affrontare l’arte, in maniere molto razionali oppure fuori dagli schemi. Da lì è diventata una ricerca sul corpo, sulla scoperta di nuovi modi di muoversi. 

foto di Davide Barbieri

Il titolo del lavoro riprende un verso del Sanctus del Requiem di Verdi, brano che nello spettacolo svolge un ruolo importante. Come sei arrivato a scegliere proprio questo pezzo?

Personalmente sono molto affascinato dalla musica colta del periodo romantico. Il Sanctus mi piace perché, pur essendo un brano relativamente breve (dura meno di tre minuti) ha una struttura complessa, e richiede un’orchestra e un coro importanti anche a livello numerico. Mi interessava lavorare su un brano ben codificato, con un valore storico. Con Mattia Nardon (autore delle musiche dello spettacolo, ndr) abbiamo quindi creato un remix, allungando la durata originale e stravolgendone la struttura.

Il remix di un brano così solenne crea una spaccatura nella struttura dello spettacolo, contribuendo, insieme ai tuoi movimenti, alla creazione di un’atmosfera più leggera. Inoltre intercetti spesso lo sguardo degli spettatori, con atteggiamenti quasi giocosi. C’è da parte tua una precisa volontà ironica o è un qualcosa che si crea da sé durante la performance?

Essendo il mio primo progetto, avevo dei dubbi e delle incertezze. Credevo veramente in quello che facevo ma era possibile anche che facessi delle gaffe. Ho quindi deciso di mantenere questo elemento più giocoso e spontaneo anche nel lavoro finale. Non cerco direttamente l’ironia, è piuttosto un modo per condividere un tratto della mia personalità. Quello che dico a me stesso in scena è “siamo qui, stiamo facendo spettacolo, non cambieremo il mondo proprio questa sera”, quindi non prendiamoci troppo sul serio. 

Ora pensi di proseguire con lo sviluppo di Idillio?

Non direttamente, ora sto lavorando ad altri progetti che però considero essere il naturale sviluppo di quella mia ricerca iniziale, sono maniere diverse di affrontarla per arrivare a risultati differenti. Ora per esempio sto esplorando il rapporto e le dinamiche fra l’elemento umano e gli FPV, droni pilotati che vengono solitamente utilizzati per fare le riprese. Anche in questo caso mi sto focalizzando sullo scambio di codici, significati e intenzioni tra corpi diversi, naturali o artificiali. 

A cura di Beatrice Botticini


foto di copertina: Matteo Bittante

Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MILANoLTREview