Inquadrare in una recensione uno spettacolo come The Stranger di Daniele Bartolini risulta, oltre che difficile, anche limitante per lo spettacolo stesso. Si tratta di una perfomance per un solo spettatore, che si trova a vagare “in un labirinto urbano”, finendo per interagire con diversi sconosciuti. Poiché il format chiama al confronto con se stesso e con l’altro, abbiamo deciso di restituire la nostra esperienza in un dialogo teso a ricostruire non tanto l’effettivo svolgimento della pièce, quanto le emozioni e le sensazioni che quest’ultima suscita.

Camilla: Una delle cose che mi ha colpito di The Stranger è stata la sua natura di spettacolo in continuo divenire, nel senso più profondo del termine. Lo spettacolo non solo cambia di città in città, ma a seconda del luogo in cui si svolge vengono cambiati anche coloro che “lo attivano”: i performer sono autoctoni e, avendo un rapporto molto esclusivo con il contesto, permettono al pubblico di fruire al meglio sia l’esperienza artistica sia la relazione con il luogo stesso. In loro devi riporre interamente la tua fiducia, affidandoti anche in senso fisico. Non vorrei svelare troppo dello spettacolo però vorrei raccontare come inizia: vieni bendato, una voce e una mano ti guidano in un mondo altro. Un mondo altro sia per quanto riguarda la forma spettacolare che esce da una dimensione canonica, tradizionale e un mondo altro anche da un punto di vista percettivo: lo spettatore è invitato a intraprendere un viaggio dentro di sé, a mettersi in un’insolita disposizione d’animo.

Chiara: Quella che si crea è una situazione ambivalente, come quando si gioca a nascondino. Chi è il protagonista del gioco in realtà ne è anche la vittima: subisci cioè ciò che gli altri fanno e non sai prevedere davvero quel che accadrà. Allo stesso modo, in The Stranger sei a metà tra l’essere parte attiva di un gioco nel quale decidi tu cosa fare e, contemporaneamente, sei inserito in una partitura in cui hai limiti di movimento e tutto è già stabilito. È esattamente come una partitura musicale: quello che si deve fare è già scritto, ma ciò che cambia sono il soggetto, le sensazioni e le emozioni che ciascuno mette nell’eseguire quell’esatta serie di segni. Quindi è veramente una dimensione diversa sia da uno spettacolo teatrale tradizionale che da una mera operazione di coinvolgimento dello spettatore. È un po’ come essere immersi in una sorta di videogame interiore.

Camilla: Si potrebbe definire come una sorta di percorso narrativo urban-immersive, dove ogni incontro equivale a un livello diverso di interazione: e con il personaggio che ti guida e con la tua “anima” interiore. Un altro dato interessante è avere la possibilità di scoprire posti della città a cui normalmente non potresti accedere, nemmeno da abitante del luogo. Questo rende eccezionale uno spazio ordinario, modificandone lo statuto. La trasformazione dev’essere particolarmente straniante soprattutto per chi vive quotidianamente quei luoghi, perché improvvisamente i vicoli e le strade di tutti i giorni, diventano altro, vengono percepiti con uno sguardo altro. Immagino la performance a Milano (che conosco bene) e credo che in una città grande sarebbe ancora più intenso questo cammino di perdita, di caduta del muro che ci separa sempre dagli altri, di riscoperta.

Chiara: In un certo senso si tratta di un percorso di crescita: per un momento relativamente breve, ma molto intenso, hai seguito l’indicazione e il cammino che qualcun altro ti segnava, e quando questo si interrompe prima provi una sorta di horror vacui, rendendoti poi conto della ricchezza che c’è in te e intorno a te. Puoi scegliere qualunque strada, qualunque sconosciuto da seguire. Si tratta di strade fisiche ma metaforicamente rappresentano potenziali e alternativi percorsi di vita.

Camilla: L’azione che ti fa compiere questo spettacolo è un atto liberatorio che ognuno di noi dovrebbe sperimentare: è un mettersi alla prova su ogni livello, a cominciare dalla paura di stringere la mano a uno sconosciuto. A fine spettacolo ognuno ha avuto la possibilità di fare il proprio cammino personale senza alcuna forzatura. Ed è giusto che non ci siano: toglierebbero il senso di questo percorso di crescita, lo snaturerebbero.

Chiara: È piuttosto difficile far capire di cosa si tratta senza fare spoiler. Quel che posso dire è che l’intera struttura ha un fil rouge molto forte e allo stesso tempo molto difficile da vedere. Lo spettatore diventa una sorta di investigatore che si muove tra le vie della città cercando un misterioso straniero, incontrando varie persone che gli danno degli indizi per continuare la ricerca. La ricerca è nel gioco, ma si ricevono degli strumenti utili per proseguirla anche nella vita. In tutto questo, l’aspetto che ho amato di più è stato il fatto che nulla è ovvio o didascalico. Un’operazione artistica di questo tipo può facilmente scivolare nel disimpegno buonista o nell’attivazione di semplicismi parapsicologici, ma in nessun punto si sente l’eco di derive new age del tipo “cerca te stesso”. L’intero spettacolo è estremamente concreto e allo stesso tempo costringe a praticare una riflessione astratta, in quanto ogni capitolo porta il pensiero a un livello sempre leggermente superiore a quello che ti aspetteresti. È una sfida che stimola l’intelligenza: sia da un punto di vista cognitivo sia emotivo-sensoriale.

Camilla:  Personalmente sono partita un po’ sospettosa e quando è finito avrei voluto rifarlo. Mi chiedo: perché non lo portano a Milano? Perché non ho avuto l’opportunità di parteciparvi prima? A chi lo posso consigliare? Appena ne ho avuto la possibilità ho invitato dei ragazzi che facevano volontariato in strada a provarlo. Se dovessi però indicare un punto potenzialmente debole dello spettacolo, direi l’assenza di una drammaturgia forte, una caratteristica che forse è determinata proprio dalla natura “non teatrale” – almeno in senso stretto – della performance. Anche la struttura, ottimamente concepita, corre il rischio in qualche momento di limitare la libertà d’azione dei partecipanti. Ma sono dettagli: The Stranger rimane un’operazione vincente, senza perplessità di sorta.

Camilla Fava e Chiara Marsilli

The stranger
di Daniele Bartolini/Dopo Lavoro Teatrale
visto nell’ambito di Kilowatt Festival