Fanny&Alexander
drammaturgia Chiara Lagani
regia Luigi de Angelis
visto al Teatro LaCucina di Milano_5-6 Luglio 2012
all’interno della rassegna ‘Da vicino nessuno è normale’, a cura di Olinda (12 Giugno-28 Luglio)

C’è un uomo sul palco. È nervoso, si sta preparando per un’esibizione: forse un debutto teatrale, forse un concerto. Lo spettatore apprenderà presto che si tratta dell’intervento pubblico di un uomo politico; ma i primi istanti di Discorso Grigio lasciano emergere alcuni elementi che – anche se non appaiono immediatamente pertinenti a un contesto istituzionale – forniranno una peculiare chiave esegetica.
Da un lato, la musica si impone subito come fondamento drammaturgico (non a caso nelle note di regia si parla di interpretazione concertistica): il sottofondo sonoro, che non viene mai meno, dà vita a un’atmosfera rarefatta, tesa e angosciosa, quasi da thriller psicologico. Dall’altro, la dimensione metateatrale e performativa dell’orazione politica appare dominante: la buona riuscita dell’esibizione – in tempi in cui tutto è spettacolarizzato – coincide con il trionfo politico. Non stupisce allora trovare microfono e cuffie, training preparatorio ed esercizi per l’apparato boccale, applausi da concerto e passi di danza: tutto si fonde in una partitura che prende forza proprio dalla sua eterogeneità.

Non è certo la prima volta che il discorso politico fa il suo ingresso sulla scena, a partire da quello di Creonte nell’Antigone di Sofocle, passando per quello di Antonio nel Giulio Cesare shakespeariano, per arrivare fino all’orazione tucididea di Pericle agli Ateniesi, utilizzata di recente da Paolo Rossi. Ma a Luigi de Angelis e Chiara Lagani non sembra interessare la costruzione ingegnosa,  talvolta disonesta ma sempre densa, delle orazioni sopra citate: è il vuoto del linguaggio politico contemporaneo il cuore del nuovo lavoro di Fanny&Alexander.
Un uomo (uno straordinario Marco Cavalcoli) prepara e poi pronuncia pubblicamente un’orazione di ‘discesa in campo’, costruita come un puzzle di discorsi della nostra storia recente. Nella sua voce diventano riconoscibili molte tra le figure che hanno abitato e inquinato la scena pubblica italiana dell’ultimo decennio: Berlusconi, Tremonti, Bossi, La Russa, Bersani, Di Pietro, Bertinotti, Vendola, Napolitano. Cavalcoli storna magistralmente il rischio della semplice imitazione parodistica, di quella satira a cui siamo già assuefatti: Lagani e de Angelis alzano la posta, puntando a una riflessione sociale e quasi antropologica di ampio respiro.

Le cadenze, l’articolazione della voce e persino i tratti facciali dell’oratore si modificano impercettibilmente fino a fargli assumere le sembianze di questo o quel personaggio pubblico; ma resta – ed è l’intuizione più riuscita – un’unità coerente tanto nella personalità ‘qualunque’ del politico, che assume qui una valenza quasi metafisica, quanto nei (non) contenuti. Questo è il dato più allarmante: lo schiacciamento delle posizioni politiche in un unico, vuoto, nauseante discorso grigio. Nulla che non sapessimo, beninteso: eppure la rappresentazione sincretica dei volti e delle parole che abbiamo tante volte visto udito e introiettato assume la valenza di un’epifania.

Lo spettacolo lascia poi aperto un interrogativo sulla transizione che stiamo vivendo: siamo davvero nel post-berlusconismo? Se sì, quale caratteristica definisce questa nuova fase politica? Così, dopo il pastiche monocolore della prima parte, si attraversa un’interessante fase di duello – una giustapposizione dal sapore onirico più che un reale botta e risposta – tra Monti e Grillo. Nel rassicurante e meticoloso tecnicismo del primo, e nel veemente e istrionico arringare del secondo emerge con forza l’inadeguatezza di entrambi a configurarsi come reale alternativa politica.
Si approda infine a un lungo silenzio, restituito allo spettatore come un diritto fondamentale, una riposante requie da parole inquinanti e velenose. Ma il sollievo non dura a lungo: con un’angosciante struttura ad anello (che pecca solo di qualche lungaggine) lo spettacolo si conclude proprio con l’inizio di un nuovo discorso. Negli inferi della politica, la pena è destinata a ripetersi in eterno.

Maddalena Giovannelli