Di Stefano Massini
Regia di Rosario Tedesco
Un progetto di e con Elena Arvigo
Visto al Teatro Out Off di Milano_ 17-25 ottobre 2015

Donna non rieducabile, sottotitolo “memorandum teatrale su Anna Politkovskaja”, è una forma lirico-documentaria che si dispiega per quadri. La scrittura frammentata e di grande impatto, nello stile di Stefano Massini, procede attraverso grappoli di parole che disegnano immagini di crudo realismo o di pura poesia. A fronte del delicato argomento scelto, il primo rischio sta nel dosare toni e ritmi, ma Elena Arvigo (attrice protagonista) riesce a catturare il pubblico attraverso l’intarsio di pause e accelerazioni, senza cedere a iperboli o slittamenti monocordi. In primo piano è il racconto di Anna.

Questa figura, all’inizio dimessa, dall’aria familiare e quasi fragile, è lontana dalla statura eroica che nel tempo è stata attribuita alla giornalista della “Novaja Gazeta” uccisa nel 2006. Ma un crescendo di intensità rivela gradatamente la sua fermezza. Nell’inferno ceceno Anna è soprattutto occhi e orecchie: accorre e scrive ciò che ascolta da vittime e carnefici, violenze, torture, sangue, corpi mutilati. Non può impedirsi, dopo aver visto la verità, di scriverla, senza fare sconti a nessuno.
Mentre piovono luci sanguigne sulla scena, Anna sparge fiori per i bambini della scuola di Beslan e il sonoro riproduce un ronzio elettronico disturbante, simbolo forse del cortocircuito della ragione. La giornalista medita sull’impossibilità di prendere una posizione a favore degli uni (terroristi) o degli altri (governo), volti diversi ma simmetrici di una logica assassina: e simili riflessioni non potranno che lasciare emergere dubbi, ostinazione, stanchezza. Un percorso anche tonale che la bravissima Elena Arvigo riesce a costruire e tenere saldo in tutto lo spettacolo.

Notevoli le scelte sceniche. Non i segni concreti della scrittura, cioè fogli e scrivania (come nella versione di Silvano Picardi 2011 con la splendida Ottavia Piccolo), né un uso invadente di proiezioni video (come nell’adattamento ateniese 2014-2015 di Michalis Kilakos, che sfrutta le sequenze di documentari veri sugli orrori della Cecenia, sulle note di Thodorìs Ikonomou, il pianista di Odyssey di Wilson). Nella regia di Rosario Tedesco è il racconto a creare gli ambienti e il decoro è essenziale: una sedia appena e il telaio di una porta, che si carica di un forte significato simbolico. La Arvigo si affaccia da quel vuoto, lo attraversa, quindi afferra il telaio e lo trascina qua e là per la scena: questa porta, ritta in verticale, poggiata sul lato lungo o stesa a terra, segnala il cambio di prospettiva e il passaggio a un nuovo quadro. L’intensità simbolica la rende soprattutto soglia della narrazione, oggetto concreto che accende il logos, finestra da cui Anna si affaccia sulla verità. Di volta in volta la parola svela gli spazi: è la porta del commissario di polizia a Grozny, sordo alle richieste dei civili, oppure l’ingresso alla platea del teatro Dubrovka a Mosca, ma anche bara-simbolo dei bimbi innocenti di Beslan e letto d’ospedale dove Anna rinviene dopo l’avvelenamento. Infine, in una Ringkomposition che lega i presagi dell’inizio alla conclusione, diventa il profilo fatale dell’ascensore dove Anna, secondo il regime “donna non rieducabile”, trova il suo assassino. A questo punto l’attrice si scosta e la luce illumina il telaio cieco.
A terra restano le povere borse della spesa; al centro, si staglia il vuoto di un’assenza che continua a urlare la sua denuncia.

Gilda Tentorio