regia di Sax Nicosia / drammaturgia di Lorenzo Piccolo
produzione Nina’s Drag Queens
visto all’Elfo Puccini di Milano _ 3-8 novembre 2015

“Lontano dalla vita grigia”: è lì che veniamo trascinati da Dragpennyopera, una geniale rilettura de The Beggar’s Opera (1728) di John Gay con musiche di Pepusch, che gioca con Brecht e Weill fin dall’ironica omofonia The Threepenny Opera Dragpennyopera.
Le Nina’s sorprendono da subito con la loro coralità: ad apparire in scena sono cinque donne, un “plotone di vedove” schierato davanti al patibolo dove Macheath – il lestofante Macheath, l’amato, odiato, desiderato, venduto Macheath – verrà impiccato (ma accadrà davvero?).
Presto l’ordinata fila si dissolve: Lucy, Polly, Jenny, Peachum, Tigra si dibattono intorno al cortile della prigione dove si attende l’esecuzione, si inseguono in un trascinante labirinto di ipocrisie, incanti, amicizie, ironie, umane bestialità, parodie, amori, morte.

Complici i meravigliosi costumi ‘parlanti’ di Gianluca Falaschi, le donne raccontano se stesse e fanno vivere Macheath nelle loro parole. L’uomo, la cui presenza aleggia costantemente sul palco, non appare mai in carne ed ossa: è una voce maschile registrata, un volto da immaginare, un simulacro evocato tra le sbarre della prigione. Ci sembra di scorgerlo dietro il tavolo nuziale il giorno del matrimonio con Polly, tra le braccia fedifraghe della sua amante Jenny, nei vagheggiamenti del suo primo amore, la stizzosa Lucy, negli stratagemmi ideati dalla signora Peachum. Ed eccolo lì, poi, mentre viene trascinato di nuovo in galera dal tetro e viscido capo della Polizia, Tigra, e come in una tragicommedia si torna al punto di partenza.
Siamo quasi certi, infine, di intravederne il volto quando sta per essere impiccato, dentro al cappio con le lucine da luna park. Ma veniamo spiazzati. Il patibolo di Mac non è il solo. Ogni donna ha il suo e, dopo aver preso posizione, snocciola da lì, con vanto e puntiglio, i propri affari danarosi e criminali, i propri tornaconti. Le luci dei cinque cappi illuminano allora altre possibili verità e fanno sorgere il dubbio che Macheath, in un rocambolesco gioco di specchi, abbia i volti di Peachum, Polly, Lucy, Tigra, Jenny. Volti neri. Non i soli.

Perché cos’è, in fondo, “l’onesta attività criminale” di Mac e delle altre rispetto agli atti criminosi delle banche, delle multinazionali, dei governi, si chiede Ulisse Romanò, svestendo i panni di Polly, in un crudo, intenso monologo. Cos’è la prostituzione, se non una “legge di mercato” da cui nessuno è immune? Come possiamo star seduti noi in teatro su “rassicuranti poltrone rosse” mentre molti disperati “nei loro lettini di cartone, sognano la fine di questa bella civiltà”, la nostra civiltà? Fa tremare le vene ai polsi Lorenzo Piccolo – straordinario – quando, scendendo dal palco, tiene lo sguardo fisso, implacabile, negli occhi di noi spettatori.

Nel Dragpenny entrano in gioco anche le relazioni familiari non immuni, come quelle sociali, dall’homo homini lupus alla base della nostra società, dal denaro, dalla menzogna, dai giochi di potere, relazioni spesso raccontate in musica, componente essenziale degli spettacoli delle Nina’s. I playback –  T’ammazzerei della Carrà, la sulfurea Sweet dreams versione Eurithmics e Marylin Manson, la struggente Sei bellissima della Bertè o, ancora, quello tragicomico dal film Amore mio aiutami con Sordi e Vitti – in mano alle Nina’s diventano una partitura per immagini, dipinte da una riuscita alchimia di limpida gestualità e straordinarie coreografie.
E il finale? Se si seguisse John Gay, si dovrebbe seguire il suo motto “an Opera must end happily”, ma… forse un altro playback ci sorprenderà.

Raffaella Viccei