Lasciate ogni comfort zone voi che entrate. Lo spettatore è avvisato: varcati i confini di Centrale Fies si entra in un mondo altro, un chiaroscuro dove nascono mostri, direbbe qualcuno, o forse, più semplicemente, ci si introduce in un habitat inesplorato dove vivono creature fluide, sensuali, incatalogabili. In questo scenario immaginifico prende forma Ipernatural, titolo di Drodesera 2019 e chiusura di un trittico di edizioni volto all’indagine di nuove forme di vita e di cultura.
Per una volta, si parla di natura senza utilizzarla come romantica cornice a servizio dello struggimento dell’essere umano. L’esercizio è esattamente al contrario: smettere di pensare alla natura come qualcosa di sacro e intoccabile e provare a immaginarla come un’entità fluida, iperconnessa e iperculturale. Per esempio, pensando a una foresta non diremmo che si tratta di una comunità complessa, ma di un luogo dove alcune piante si sono trovate casualmente a crescere e convivono in religioso silenzio. Nella realtà alberi, radici, funghi, insetti e tutti gli elementi di una foresta sono in grado di comunicare tra loro, condividere codici e informazioni ed esercitare un discreto potere decisionale. A ben vedere, forse, la natura è un’entità politica.
Si tratta certo di una provocazione: Ipernatural non ha risposte certe. L’obiettivo del festival – senza dubbio con una buona dose di visionarietà – rimane infatti interlocutorio e va calato nel contesto di un preciso atto politico e artistico di Centrale Fies: concedere e concedersi la possibilità di vedere cosa accade quando si infrangono le forme codificate dell’arte e ci si rimette per davvero a osservare le cose; a prendersi cura di ogni minima intuizione, affinché, nutrita, trovi un suo collegamento con il tutto.
Non resta quindi che stare al gioco e provare a esplorare l’Ipernatural magari utilizzando categorie conosciute ma comunque sovvertendo le regole di una relazione antropocentrica con il mondo naturale. Tra le molte, quattro condizioni vengono vivisezionate dallo sguardo impietoso delle pratiche performative durante le ultime due sere del festival: intimità, violenza, stasi, mutazione.
Iper-natural as iper-intimacy
Abbiamo tutti paura dell’intimità. Forse è perché non sappiamo esattamente come riconoscerla, né abbiamo un manuale di istruzioni che ci insegni quando concederla. E quando generalizzare non funziona, bisogna passare alla mappatura delle singolarità. Così fa Raquel André, attrice e regista portoghese di 33 anni, che si auto-definisce “collezionista di cose rare e di persone” e porta in scena a Drodesera Collection of Lovers: una performance che fa il punto sullo stato di avanzamento di un esperimento in più fasi che durerà dieci anni, dal 2014 al 2024.
Il lavoro di Raquel consiste nell’incontrare persone sconosciute, di tutte le nazionalità, età e generi e, nel tempo di un’ora compresso nello spazio di un anonimo appartamento, provare a costruire un’intimità immaginaria da immortalare con almeno una fotografia.
Coraggiosa André, coraggioso chi risponde alla call e accetta di esplorare i confini di un’architettura scivolosa, quella delle relazioni. Supportata solo da un proiettore, una sedia e un microfono, Raquel racconta di 237 “amanti” incontrati in 23 città diverse, da Lisbona a Dro, passando per Bergen e Cincinnati e condivide con il pubblico un archivio di oltre 7.000 fotografie di segreti, attimi di contatto fisico, pasti condivisi, risate e lacrime: veri cimeli di un’intimità ricreata in laboratorio ma non per questo meno autentica. Collection of Lovers è una pièce provocatoria, divertente e necessaria per tornare a ragionare su quanto l’intimità e la fiducia siano atti necessari per restare umani.
Iper-natural as iper-violence
Un rave party è un oggetto estetico piuttosto affascinante. Se facessimo un check delle categorie che Foucault utilizza per definire il concetto di “eterotopia” troveremmo che una festa clandestina rientra perfettamente in questo schema: un luogo dai chiari confini, all’interno del quale il tempo scorre diversamente. Uno stato d’eccezione che sospende, neutralizza o inverte l’insieme dei rapporti che si designano in quello spazio.
E proprio sul tema dei rapporti insiste Crowd di Gisèle Vienne, rave party a rallentatore animato da quindici più che talentuosi performer. Un’ora e mezzo di musica techno fa da sottofondo a un lucido esperimento antropologico: l’osservazione delle dinamiche sociali di un gruppo di persone in estasi. Nelle dinamiche del gruppo, sono tre i temi ricorrenti: amore, violenza e morte. Nulla di nuovo quindi sotto il sole, o meglio, sotto l’immobile fumo bianco che sovrasta la scena appena sopra le teste dei performer. Quello che fa la differenza, in quest’opera, è però l’intensità dell’esperienza estetica, il piacere quasi sadico di violare – dalla sicurezza di una zona protetta, la platea – le barriere di una situazione pericolosa.
Iper-natural as iper-stasis
Come i protagonisti di Crowd, anche i quattro attori di Conversations Out of Place si muovono al rallentatore, soli in una scena buia presidiata da un’unica, grande pianta tropicale.
Si sono persi e, nel cercare una direzione da seguire, camminano continuamente in tondo. L’ipnosi a cui sono sottoposti ricorda la prigionia degli antichi nell’isola dei Lotofagi, eroi a cui venne sottratto il senso del tempo e delle proprie missioni. A primo impatto l’ignavia dei personaggi, che latitano nella ricerca di una soluzione ai loro problemi, snerva il pubblico certamente abituato ad altri ritmi e altre modalità di problem-solving. Poi, la rivelazione: l’idea creativa germoglia solo nella perdita di tempo. E si riempie di significato anche la scelta di portare in scena una lunga conversazione senza apparente senso, ripetuta a tratti uguale a se stessa, che spazia da racconti inventati, pillole di saggezza popolare a sbiaditi ricordi d’infanzia: un esercizio necessario ad allenare la debole pazienza delle audience contemporanee.
Iper-natural as iper-mutation
Cos’è uno spazio pubblico? La domanda sembra banale, ma non lo è.
Possiamo definire pubblico uno spazio accessibile a chiunque all’interno del quale però vi sia una programmazione serrata in termini di attività ricreative?
Da questa provocazione, e da molte altre a dir la verità, nasce Little Fun Palace, progetto itinerante di OHT che nelle sembianze di una malconcia roulotte gira l’Italia e, a Centrale Fies, si posiziona volutamente alla periferia dell’istituzione, poco distante dal cancello di uscita.
Per gli addetti ai lavori, il riferimento è lampante: un omaggio alle idee di Cedric Price e Joan Littlewood, creatori del londinese Fun Palace, il progetto – mai realizzato – di un edificio componibile e polifunzionale, all’interno del quale potessero prendere vita spettacoli teatrali di ogni genere; una “macchina” flessibile e content-specific dedicata alla produzione di interazione sociale e culturale. Allo stesso modo, LFP è uno spazio pubblico ambulante, un luogo parassita e multi-sfaccettato che attiva il territorio in cui insiste e fa accadere delle cose. Dal 2018 a oggi, LFP è diventato: libreria, cinema all’aperto, spazio per talk e conferenze, base per karaoke e dj set, ma soprattutto un luogo di incontro libero e spontaneo tra le persone. Un oggetto dall’identità fluida che per sua stessa natura muta a seconda del contesto in cui si trova.
In LFP il tema del piacere è centrale e “Fun” un termine necessario per la comprensione dell’opera, prima di Price e Littlewood e poi di OHT. Nella Londra del dopoguerra, Cedric Price e Joan Littlewood si immaginarono Fun Palace come un “laboratorio del divertimento”, uno spazio sperimentale per portare cultura, gioco, teatro e didattica al di fuori delle mura delle istituzioni. Mosso dalla stessa ironia e certo dallo stesso bisogno di protestare contro una società che detta anche le regole di un divertimento obbligato, Little Fun Palace si posiziona alla periferia di ciò che è serratamente pianificato e rappresenta un’alternativa, una stimolante e suadente possibilità.
Emanuela Gussoni
_Collection of Lovers
di Raquel André
_Crowd
di Gisèle Vienne
_Conversations Out of Place
di Ivana Müller
_Little Fun Palace
di OHT
Spettacoli visti presso Centrale Fies nell’ambito di Drodesera 2019.