Tra i sette finalisti della XIII edizione del Troia Teatro Festival, due compagnie in particolare si sono distinte per la capacità di declinare la proposta tematica (“esperire”) e filtrarla attraverso la propria poetica: Sonenalè con Lo spazio delle relazioni e 20 Chiavi Teatro con Paura e delirio.
Due lavori che dopo essere stati presentati al pubblico troiano, si sono aggiudicati entrambi una menzione speciale da parte della giuria del festival per la capacità di “suscitare un coinvolgimento spontaneo e profondo da parte del pubblico” pur attraverso percorsi di ricerca e codici espressivi differenti. Un risultato garantito, oltre che dalla qualità della proposta artistica, soprattutto dal lavoro di approfondimento antropologico e sociale che sta alla base della composizione drammaturgica di entrambi gli spettacoli.
Lo spazio delle relazioni
In scena dieci performer attendono istruzioni dal proprio coreografo, che siede a un tavolo all’estrema destra del palco. Non sono attori professionisti, ma comuni cittadini selezionati dalla compagnia Sonenalè (sodalizio artistico nato nel 2008 dall’incontro tra Riccardo Fusiello, coreografo e danzatore, e Agostino Riola, regista e performer) per partecipare a un laboratorio di sole tre ore: è il tempo in cui apprendono le regole del gioco e si esercitano ad ascoltare la voce di Fusiello per seguirne le direttive che saranno replicate, senza un ordine prestabilito, durante lo spettacolo.
Le richieste sono semplici: toccare un compagno, invitarlo a ballare, occupare uno spazio rimasto libero. Ma a seconda che si immagini di interagire con un amico, con il datore di lavoro o con una persona scomparsa, ciascuno cambia atteggiamento e modula la distanza “di sicurezza” rispetto all’interlocutore. Armato di metro, Fusiello si aggira tra i performer e in base ai centimetri che intercorrono tra le coppie illustra la distanza intima, personale, sociale o pubblica, secondo le definizioni dell’antropologo americano Edward Hall. Alcuni estratti del saggio di quest’ultimo, La dimensione nascosta, scandiscono i passaggi da una scena all’altra per sottolineare l’interdipendenza tra la vicinanza (o la lontananza) fisica e quella relazionale.
A poco a poco, dal contatto e dal rapporto con gli altri emerge e si afferma con fiducia il singolo individuo: i dieci partecipanti si schierano di fronte al pubblico e uno alla volta sollevano un oggetto, simbolo della storia personale che andranno a raccontare in questa seconda parte della performance. È probabilmente questo l’istante in cui meglio affiora la complessità dell’impresa compiuta da Sonenalè: lo schema prefissato della “danza misurata” si apre a un’espressione libera e senza vincoli, che risulta inedita a ogni replica grazie alla selezione di voci sempre nuove.
Lo spazio delle relazioni parte da un canovaccio a maglie larghe e si assume il rischio dell’imprevedibilità per indagare i meccanismi che legano indissolubilmente tutti noi. Il ricorso ad attori non professionisti alimenta un’interpretazione genuina in grado di sgretolare ogni forma di passività: i coreuti del teatro greco – reclutati tra semplici cittadini – istituivano un dialogo privilegiato con la polis di cui costituivano l’emblema; allo stesso modo i volontari inesperti di questo spettacolo divengono uno specchio per il proprio pubblico. Il risultato è un’immedesimazione con i performer che sfocia in un reciproco riconoscimento: l’indagine sui rapporti umani, così orchestrata, innesca un sentimento di identificazione che riattiva l’istanza comunitaria del teatro.
Nadia Brigandì
Paura e delirio
La seconda menzione speciale va all’associazione culturale romana 20 Chiavi Teatro, diretta da Ferdinando Vaselli, che da anni lavora perseguendo una politica ampiamente inclusiva sul territorio nazionale: la produzione artistica teatrale è affiancata da numerosi progetti di formazione e da una costante e attenta ricerca in ambito sociale.
La drammaturgia di Vaselli si nutre del romanesco sanguigno delle periferie della Capitale, della stucchevole coprolalia di quegli ‘ultimi’ che fanno paura piuttosto che pena, di coloro che la coscienza comune addita come consapevoli sabotatori del proprio e dell’altrui quieto vivere: donne e uomini violenti e facinorosi, che conducono un’esistenza al limite della legalità e ben oltre quello del buoncostume. Ladruncoli sfacciati, disoccupati tignosi, fieri neonazisti. La sorella cattiva della vie bohémienne.
Ecco allora che le aspettative hollywoodiane promesse dal titolo vengono tradite fin da subito: due rozzi individui – fratello e sorella, interpretati dallo stesso Vaselli e da Alessia Berardi – ingannano il tempo rimbeccandosi trivialmente tra le mura di uno squallido monolocale. Unici elementi scenici degni di nota sono gli indumenti che indossano: due identiche tute rosse dell’Adidas, segnale sgargiante di una morbosa sovrapposizione identitaria, nonché riferimento esplicito al “claustrofobico” lusso domestico della problematica famigliola di Ben Stillen nei Tenenbaum (The Royal Tenenbaums, 2001) di Wes Anderson.
Il pubblico osserva i due disperati e li lascia fare senza scomporsi: le battute squallide, pregne di blasfemia e feroce razzismo, procurano un godimento immediato, comodo, confortevole in quanto schermato dall’impossibilità dell’immedesimazione. Non stupisce che i due, comprensibilmente sfrattati dal padrone di casa apostrofato come “negro” – per distopia drammaturgica o per proiezione fanatica dei due protagonisti – si risolvano a delinquere: progettano di rapire il figlio dell’affittuario, per ottenere un riscatto e “tirare a campare” ancora per un po’.
La goffa attuazione del piano lascia trapelare i primi sentori di un disagio psichico ed emotivo profondo, che inizia a insinuarsi negli spettatori: balenano in modo tanto sottile quanto inquietante segnali di un reiterato abuso incestuoso, che investono di responsabilità i testimoni seduti in platea. La donna in scena acquista repentinamente i connotati della vittima: non appena prende in braccio il piccolo ostaggio, il suo istinto materno si sprigiona prepotentemente, con la straziante furia di un animale costretto a reprimere i propri impulsi vitali. Siamo tutti pronti ad assolverla quando, con un estremo gesto di ribellione, tenta di fuggire dal suo sudicio universo in cui è intrappolata, stringendo il tenero fagotto. Ma logica, esperienza e buonsenso negano la possibilità che si tratti davvero di un lieto fine. Lo spettatore se ne rammarica, e gli tocca domandarsi perché, tutt’a un tratto, non ha più voglia di ridere.
Chiara Mignemi
Lo spazio delle relazioni
progetto e coreografia di Riccardo Fusiello
collaborazione artistica di Agostino Riola
con Riccardo Fusiello e dieci persone selezionate per ogni replica
produzione di Sonenalè
Paura e delirio
drammaturgia di Ferdinando Vaselli
con Ferdinando Vaselli e Alessia Berardi
produzione di 20 Chiavi Teatro
Visti nell’ambito di Festival Troia Teatro_31 luglio – 5 agosto 2018