Anche quest’anno ho avuto il privilegio di partecipare al Tavolo critico della finale del Premio Scenario Infanzia 2022. Nuovi linguaggi per nuovi spettatori, ospitata negli spazi del DAMSLab di Bologna. Il nostro sguardo, insieme a quello dell’Osservatorio critico studentesco e a quello del Piccolo Osservatorio di bambini, bambine e adolescenti, ha accompagnato i dieci progetti arrivati in finale, presentati nella consueta formula dei venti minuti in vista della successiva elaborazione in forma compiuta. Su due di questi progetti, fra i molti interessantissimi, vorrei qui soffermarmi, per il carattere particolarmente dirompente della forma teatrale, per la lucida sovversione del ruolo e delle aspettative del pubblico, per la sapiente stratificazione dei linguaggi messa in atto.
«Per tutta la vita sono stato un impostore. E non esagero». Mi ha fatto ripensare a questo incipit del racconto Caro vecchio neon di David Foster Wallace la prova dal titolo California Under Routine (menzione speciale della Giuria) del Collettivo Baladam B-side, fondato da Pierre Campagnoli, autore della drammaturgia, con Elena Pelliccioni, e della regia.
Il protagonista del racconto di Wallace passa tutta la sua vita a mentire, a inventarsi dei ruoli e delle identità sociali divertendosi a prevedere le reazioni che le sue menzogne provocano sugli altri. Il meccanismo è diabolico e così, invischiato nelle sue stesse bugie e nel ‘paradosso dell’impostore’ che non gli permette di confidare sinceramente a nessuno di essere un truffatore, pena il suo non esserlo più, finisce per suicidarsi. Il lavoro di Campagnoli e del suo gruppo trova invece il suo punto di forza proprio nel pericolante e spericolato equilibrio fra realtà e finzione, fra illusione e inganno. Al contrario del racconto, la menzogna e la costruzione linguistica di false piste, elementi costitutivi di questa drammaturgia, qui non portano a nessun catastrofico finale, anzi diventano dispositivo privilegiato per rompere il patto finzionale con i bambini e le bambine del pubblico, le cui aspettative di assistere a uno spettacolo sulla California e sul surf sono sin da subito disattese. Lo spettacolo non si farà perché il teatro, ci dicono gli autori tenendoci sull’uscio, è infestato da un essere misterioso e spaventoso, la Borda, la cui vista può sostenersi solo con occhiali da sole fatti portare a tutti preventivamente da casa. Questa Borda non si sa cosa sia, ma alla fine non fa paura per nulla: inutili dunque gli occhiali, inutile il nome falso che i bimbi e le bimbe si sono dovuti inventare, inutili i gesti scaramantici, inutile lo sciamano per nulla magico convocato per salvarci dalla Borda. Con padronanza degli strumenti retorici e scenici di costruzione e decostruzione dell’inganno, sono dunque di continuo messi in crisi l’implicito patto di sospensione dell’incredulità e la logica di finzione, del “come se” che, è bene ricordarlo, caratterizzano tanto il genere teatrale quanto quello fiabesco, più frequentato proprio dalla fascia d’età infantile.
Si procede di continuo per paradossi e provocazioni linguistiche («La Borda è la Borda!», che riporta alla mente il verso «Rose is a rose is a rose is a rose» di Gertrude Stein), e in questo giocoso labirinto degli spazi, delle parole e della lingua, fra fatti reali e surreali, l’ironia diventa il grimaldello per scardinare certezze e luoghi comuni, per liberare la fantasia, spesso ingabbiata negli spauracchi inventati dagli adulti. I bambini e le bambine – e noi adulti con loro, a patto di avere ancora orecchie e occhi capaci di ascoltare e vedere con la loro stessa ingenuità creativa – non “assistono” allo spettacolo, ma sperimentano di continuo l’inatteso e condividono un’autentica “esperienza”, nell’accezione che Heideggerha dato a questa parola: esperienza non come qualcosa che si può programmare o che si dà una volta per tutte, ma come sempre nuovo attraversamento che ci raggiunge inaspettatamente e ci cambia, che trasforma le nostre conoscenze e convinzioni e ci rende altro. Un attraversamento che si fa dunque spaesamento, in quella che, già dai primi venti minuti visti, si prefigura come una festa della fantasia e dell’immaginazione, che si libera proprio quando non è imbrigliata, quando naufraga.
L’assoluto, felice naufragio del linguaggio verbale è anche al centro di Nunc, progetto vincitore del Premio Scenario Infanzia 2022 presentato dalla Compagnia BRAT. È un racconto muto, tutto gestuale, visivo e sonoro quello portato in scena dal collettivo, il racconto visionario di un tempo primordiale, o forse già post-umano, e di uno spazio lavico, desertico, distopico in cui gli affamati umanoidi Nunc si nutrono di semi, di insetti e del poco che la terra devastata può offrire. Quelli qui affrontati sono temi urgentissimi: la fame, l’iperproduzione industriale, il tutto-e-subito contro i tempi lenti dell’agricoltura, l’impatto ambientale della nostra educazione alimentare, ma ai temi si accompagna anche la forza drammaturgica e la novità delle forme e dei linguaggi che sostituiscono la parola. Si tratta, appunto, della potente mimica dei tre Nunc, delle loro sonorità preverbali, della prossemica e movimenti in scena, studiati come una danza, delle loro maschere e fattezze che lasciano aperta, negli spettatori, ogni sorta di suggestione e libera associazione: dalle tre streghe di Macbeth alle mostruose figure non umane o quasi umane di Lovecraft, dallo Zanni all’universo sonoro e plastico del Signor Rossi di Bruno Bozzetto, fino alle tre grottesche vecchiette di Appuntamento a Belleville.
Ma a costituire il motore trainante della drammaturgia è il suono. Ne abbiamo già visto un esempio nella scena della fine del mondo che apre i venti minuti presentati, in cui quello che ci travolge è un intreccio di tracce sonore ottenute campionando il rumore di utensili da cucina: affettatrici, bollitori, tritacarne e, sopra tutti, il diabolico microonde, oggetto-totem della contemporaneità, che cuoce cibo e spara pop-corn annullando i tempi morti, in una società che ha perduto il senso del tempo e dell’attesa. E non è un caso che proprio la cucina, in cui freneticamente si mangia e si consuma, sia il luogo reale e metaforico della fine del mondo.
«Ora ho capito cosa vuol dire ‘nuovo linguaggio teatrale’: che non c’è linguaggio!». Ricorro ai commenti illuminanti dei bambini e delle bambine del Piccolo Osservatorio sul Premio perché, al di là di ogni polveroso discorso critico degli adulti, le loro parole hanno saputo essere veri indicatori di poetica. Scriveva Pedro Pietri, in un breve pensiero sulla poesia che perfettamente si adatta anche al teatro, che «il miglior modo d’insegnare la poesia ai bambini è tenere la bocca chiusa e ascoltare quel che hanno da dire».
Angela Albanese
in copertina: Nunc, foto di Luca Del Pia
BALADAM B-SIDE
CALIFORNIA UNDER ROUTINE
regia Pierre Campagnoli
drammaturgia Pierre Campagnoli, Elena Pelliccioni
interpreti Selene Demaria, Pierre Campagnoli, Elena Pelliccioni, Guido Sciarroni
BRAT
NUNC
creazione collettiva
regia Claudio Colombo
aiuto regia Michele Guidi
contributo narrativo Pier Lorenzo Pisano
con Agata Garbuio, Claudia Manuelli, Irene Silvestri, Paolo Tosin
suoni e musiche originali Paolo Tosin
maschere e costumi BRAT
luci Massimo Galardini
scene Claudio Signorini
produzione Teatro Metastasio di Prato
in collaborazione produttiva con BRAT
con il sostegno di Scenario e L’arboreto – Teatro Dimora | La Corte Ospitale – Centro di Residenza Emilia-Romagna