a cura della Redazione
“Il più alto livello qualitativo raggiungibile”. Così recita il dizionario italiano Sabatini Coletti alla voce eccellenza.
Ma come definire un’eccellenza teatrale? Su che base scegliere lo spettacolo migliore? La regia più convincente? L’attore che incarna il massimo ottenibile in quanto a tecnica, autenticità e intensità? Ha senso parlare di eccellenza in un campo come questo, dove i parametri da tenere in considerazione per premiare l’optimum sono labili, spesso arbitrari e in balia degli umori del pubblico come anche della critica?
Abbiamo girato la domanda al giornalista e critico teatrale del “Sole 24 ore” Renato Palazzi. “Non sono d’accordo nell’uso del termine eccellenza”, ha risposto. “Preferisco intendere l’eccellenza come un’urgenza: le cose migliori che si vedono a teatro oggi nascono e fioriscono per un’esigenza comunicativa forte e chiara, tale da non poter essere ignorata dalla critica in primo luogo e, nei casi più fortunati, anche dal pubblico”.
Da questa risposta prende vita il taccuino che leggete in questo numero di “Stratagemmi”. È suddiviso in dieci sezioni, ciascuna dedicata a una categoria o a un aspetto del lavoro teatrale: dalla regia all’interpretazione attorale, dalla scenografia alla danza e alla drammaturgia, fino alla contaminazione con il cinema e le arti performative. Per ognuna di queste sezioni abbiamo individuato un’eccellenza nel senso che Palazzi ci ha indicato. Non siamo, cioè, andate in cerca di talenti in senso oggettivo e assoluto, se mai ne esistono, ma ci siamo chieste chi, tra i molti nomi che hanno avuto un’eco nella rassegna stampa della passata stagione, sia stato in grado di trasformare la propria urgenza in una comunicazione artistica di impatto. Ecco perché abbiamo scorso di nuovo le recensioni dell’ultimo anno, abbiamo letto le motivazioni dei più importanti premi in campo teatrale, abbiamo chiesto pareri a quei critici che sono più presenti sulle realtà in crescita e non solo nei circuiti ufficiali.
Sono venuti fuori dieci nomi: giovani promesse, tutte under 40, che si sono messe in luce sulle scene, talvolta addirittura imposte in un modo quasi del tutto naturale, unendo freschezza di proposte a una non discutibile accuratezza formale. Sono gruppi, personalità o esperienze che, seppure in alcuni casi davvero nate ieri, non sembrano destinate a rimanere una piacevole sorpresa, ma piuttosto ben decise a tracciare un personale percorso di ricerca.
“Da un paio di anni si assiste a una riesplosione di partecipazione ai premi teatrali, quelli per nuovi drammaturghi e per progetti originali ed è proprio da queste manifestazioni che escono le cose migliori che si vedono nelle stagioni italiane”, ha commentato Palazzi. Una tendenza confermata anche dall’ultimo premio per la drammaturgia Riccione Ater, assegnato lo scorso due giugno scegliendo tra circa 400 testi. Ecco un estratto dal comunicato stampa della giuria: “Sono stati premiati quei testi che, seppur talvolta formalmente irrisolti, presentassero una forte urgenza comunicativa espressa con linguaggi teatrali diversi: tre dei quattro premi vanno ad attori giovani alle prime esperienze di scrittura, confermando la particolare attenzione della giuria verso gli autori più giovani”. Tra questi c’è la vincitrice del premio alla drammaturgia Angela Demattè, ventinovenne trentina.
Un altro importante riconoscimento, il premio speciale Ubu 2008, è stato assegnato invece ai Pathosformel per l’inedito lavoro di ricerca su una teatralità “frammentata, decostruita, di grande fascino, entrata in modo dirompente nella scena nazionale e internazionale”. Lavorano da poco più di quattro anni e sembrano pronti a uscire molto in fretta dalla scena off e dai teatri “che bisogna andare a cercarsi per poi rimanerne folgorati”, chiosa Palazzi.
“Nel nostro teatro non c’è solo un problema di repertorio asfittico, come ho più volte sostenuto, c’è anche un problema di anti-repertorio, quello degli autori contemporanei”, scrive Franco Cordelli sul “Corriere della sera” il 25 maggio scorso. Per contemporanei intende i nomi del secondo Novecento, da Beckett a Sarah Kane, da Pinter a Bernhard, di frequente riproposti sulle scene italiane. “Il nostro mondo è ormai diverso, i problemi di quegli autori rispetto ai nostri sono come quelli degli antichi, sono cioè antichi”. Se questo teatro oggi non ha più un’urgenza comunicativa tale da richiamare il pubblico e da convincere la critica, è da altre parti che bisogna andare a cercare. Magari pescando tra le dieci eccellenze-urgenze che trovate nelle prossime pagine. Insieme fanno un repertorio eterogeneo, vitale, imprevisto, spiazzante e talvolta risolutivo insieme: più che teatro contemporaneo, sono già il teatro di domani.