A cosa fa pensare la parola festival? Qualcuno potrebbe immagi-nare piccole manifestazioni chiuse su se stesse, carrellate di nomi e performances che si susseguono una dopo l’altra giusto per riempire le serate estive, quando gli stabili cittadini rimangono chiusi.
Ebbene, chi si fermasse a questa prima impressione sbaglierebbe. Lo dimostra la mappa tracciata nel Taccuino di questo numero: un’istantanea di festival italiani che riporta un’immagine molto più variegata e complessa di un semplice elenco di rassegne di second’ordine. Il terreno più fertile dell’intera stagione teatrale, la cartina tornasole dello stato di salute del teatro in Italia, va da Trento a Bari, e si anima nei mesi estivi, per poi continuare a far parlare di sé anche quando riaprono le stagioni ufficiali.
Provoca Leonetta Bentivoglio su “Repubblica” del 27 settembre: “I festival nascono, tramontano, cambiano padrone e fisionomia. Sono creature fragili, contenitori di sogni. Non resistono al tempo o si trasformano in altro. O accettano, per sopravvivere, i condiziona-menti delle amministrazioni locali. O si modificano nei vertici direttivi e nell’impostazione delle scelte, essendo ardua l’impresa di soddisfare platee cangianti: ogni generazione di spettatori ha una sua complessità d’immaginario, e una sua percezione delle cose, da ascoltare e interpretare. Si può farlo senza tradirsi e mantenendo salda una visione?”. Noi crediamo di sì. I festival italiani, dal più importante al più innovativo, dal più internazionale a quello più legato al territorio, hanno età diverse, durate differenti, si svolgono, dal nord al sud della penisola, intorno a magazzini immersi nella campagna romagnola come in centrali idroelettriche dismesse, nelle ex residenze sabaude o nelle piazze di borghi dal fascino medioevale. Ognuno segue una propria linea guida: sperimentazione, contaminazione, innovazione, scambio, sovrapposizione.
Spesso faticano a trovare fondi per sopravvivere, ma nella maggior parte dei casi sono capaci di resistere alle girandole della politica locale e, in quelli più fortunati, vengono addirittura riconosciuti come esperienze in grado di contribuire positivamente all’indotto del territorio, secondo quella che è già stata chiamata “festivalization”, ovvero “l’incidenza che i festival hanno sui valori sociali, sul senso di identità e sull’orgoglio territoriale, ma anche sull’apertura del dialogo con altre culture, tutti fattori che nel medio e lungo periodo producono redditività”, come ha scritto Anna Bandettini su “Affari & finanza” del 12 luglio, tracciando una sorta di bilancio delle manifestazioni di Napoli e Spoleto, allora appena conclusesi.
Una sfida aperta, dunque, dove il teatro italiano si gioca le sue carte migliori e su cui “Stratagemmi” ha voluto riflettere, pren-dendo spunto da una piccola ma emblematica selezione di rassegne estive.

Anche nella Prima parte, quella degli studi, si segnala qualche importante novità. Ospiteremo infatti nelle prossime pagine la prima pubblicazione italiana dedicata alla musica di scena per il teatro di regia contemporaneo, un campo di studi che va riscuotendo sempre maggiore interesse a livello internazionale ma che resta ancora quasi del tutto ignorato in Italia. Davide Verga, l’autore del saggio che vi proponiamo, ha dedicato la sua ricerca a Fiorenzo Carpi, compositore chiamato a lavorare al Piccolo Teatro di Milano fin dall’anno della sua fondazione e, firmando la quasi totalità delle musiche degli spettacoli rappresentati al Piccolo, destinato a divenirne il “musicista ufficiale”. Il ruolo mai accessorio del contributo di Carpi nel teatro strehleriano è riconosciuto oggi dallo stabile milanese: ecco perché il 22 ottobre, in occasione delle repliche dell’Arlecchino servitore di due padroni – spettacolo simbolo del Piccolo Teatro in repertorio fin dal 1947, – Davide Verga sarà chiamato a illustrare il lavoro di ricerca pubblicato in queste pagine.
Nel cartellone teatrale autunnale del capoluogo lombardo trovere-te un altro dei collaboratori di “Stratagemmi”: è il drammaturgo Davide Carnevali, il cui Variazioni sul modello di Kraepelin, vincitore del premio Riccione “Marisa Fabbri”, è in programma all’Out Off di Milano dal 5 al 17 Ottobre. Carnevali, studioso di storia della drammaturgia, nel saggio per “Stratagemmi” si è occupato di teatro tedesco contemporaneo, dove il problema filosofico della rappresentabilità del reale, da Lessing sino agli studi di Lehmann e di Fischer-Lichte, acquista grande importanza. E le più disparate e stranianti soluzioni adottate dai nuovi “creatori teatrali” tedeschi sono ciascuna un tassello di questa riflessione.
Non manca all’appello il teatro antico: la ricerca del tipo del misantropo, ricorrente nella storia della letteratura occidentale, ci conduce all’indietro fino all’archetipo rappresentato, nel quinto secolo a.C., da Timone ateniese, personaggio emblematico più volte ricordato dagli autori antichi come colui che fuggì la presenza umana; al misantropo “totale” si affianca poi il tipo inscenato nel Dyscolos di Menandro, che odia il prossimo pur non sapendovi rinunciare.
La riflessione sul rapporto fra religione, rito e teatro, che è alla base dello studio della nascita della drammaturgia classica, è poi applicata alle possibili letture di un fenomeno architettonico tipico dell’arco alpino italiano, quello del sacro monte, con i noti esempi di Varese e Varallo Sesia: il saggio ragiona sull’aura teatrale che permea questi complessi, componente esaltata nelle belle fotografie originali dell’autore che corredano il testo.
Quesiti, linee di indagine e riflessioni teoriche che sono base imprescindibile e spunto inesauribile anche di quel teatro di ricerca cuore della nostra produzione contemporanea.