I testi teatrali sono, fin dalla sua nascita, il cuore della ricerca di “Stratagemmi”: dalle più antiche testimonianze, fino alle più recenti drammaturgie e ai linguaggi più sperimentali. È la scrittura teatrale a interessarci: sia questa riflessione sul passato o lente in continua trasformazione per indagare il presente. Siamo solite dedicare la prima parte della rivista a studi e approfondimenti sulla storia del teatro per poi occuparci, nel Taccuino, di sguardi sulla contemporaneità e sulle nuove drammaturgie. Ma ci piace sparigliare le carte, ed è il teatro – forma d’arte contaminante per suo stesso statuto – a richiederlo. E così gli Studi possono entrare nel vivo della scena teatrale di oggi, mentre il Taccuino può dare spazio alla pubblicazione del manoscritto inedito di una commedia di Ippolito Nievo.
Le metamorfosi e la sopravvivenza della tragedia greca sui palchi contemporanei sono allora il centro di un approfondimento nella prima parte di questo numero: il dramma antico è ancora l’espressione più alta dell’arte teatrale? Quanto è necessario allontanarsi dall’originale per coinvolgere il pubblico? Quale intervento è necessario perché la tragedia possa definirsi attuale? Su questo riflettono alcuni studiosi, chiamati a ricordare due personalità che al teatro greco hanno dedicato una vita di studi: Umberto Albini e Dario Del Corno. Alla loro capacità di creare cortocircuiti tra antico e moderno, tra mondo dell’accademia e mondo del teatro, è stata dedicata una giornata promossa dall’Università Statale di Milano e dall’Istituto lombardo (5 dicembre 2011, Palazzo Brera). Non a caso uno degli interventi è intitolato Due accademici in sala prove, a segnalare come Albini e Del Corno siano stati antesignani di una pratica destinata ad avere molta fortuna, e non solo nel teatro antico: quella di una traduzione che non sia mera operazione linguistica e filologica, ma presenza sul campo, disponibilità a comprendere le pratiche del teatro contemporaneo, dialogo con il regista.
Che non si tratti di una riflessione soltanto accademica, lo testimonia anche la presenza nel dibattito di due personalità di teatro: Andrèe Ruth Shammah e Franco Branciaroli. E se la prima riflette sul fatto che è proprio la conoscenza più vasta a dare la più vasta libertà in teatro, il secondo insiste sulla necessità di un’idea interpretativa forte alla base della messinscena: “La tragedia greca ha bisogno di una regia grandiosa. Ma se non manca gli appuntamenti, è il teatro più potente che ci sia”.
Nel Taccuino – che ha ospitato nei numeri passati testi di drammaturghi di ultima generazione – pubblichiamo invece per intero una commedia di Ippolito Nievo, Pindaro Pulcinella. È un testo che deve incuriosire non solo perché Nievo è ben più noto come narratore che come autore teatrale: presentiamo infatti la trascrizione di un manoscritto inedito che riporta alcune importanti varianti rispetto alla versione pubblicata nel 2004 nella collana dedicata all’Edizione nazionale delle opere dello scrittore ottocentesco.
Nel segnalare tali varianti, lasciamo dunque al lettore la possibilità di spiare nello “scrittoio dell’autore”: Nievo lavora sul suo testo teatrale, aggiunge e taglia battute, cambia il nome ai personaggi, ritocca punti esclamativi e punti di sospensione con una particolare attenzione – sembra – all’intonazione della frase. Sull’anomalia di un simile intervento su un testo che probabilmente non vide mai la scena si interroga Flavia Crisanti, esperta di teatro ottocentesco e di Nievo in particolare: fu in vista di un concorso teatrale che l’autore rimise mano alla commedia? O della spedizione del testo a una compagnia di attori?
Al lettore la scelta di soffermarsi su varianti e supposizioni, o di godersi semplicemente una drammaturgia che forse non ha mai incontrato: protagonista di questa commedia senza eroi è un poeta desideroso di farsi accettare nell’ambiente della Como nobile, ma destinato a restare deluso. Maddalena Giovannelli dedica un’ulteriore riflessione al ruolo del poeta, un Pindaro-Pulcinella goffo e perdente eppure inevitabile controfigura dell’autore: incompreso interprete dei suoi giorni in una società che non ha tempo per l’arte, o parassita senza concretezza, disposto a comporre su committenza pur di essere accolto nella cerchia dei potenti? Il quesito pare non essere troppo invecchiato.
Rinnoviamo poi l’appuntamento con la redazione romana di “Teatro e critica”: nel loro Post it, indicazioni e suggerimenti degli esperimenti più significativi che stanno girando l’Italia a partire da uno sguardo sulla situazione romana, tra nuove roccaforti della resistenza culturale e spettacoli che transitano tra le sale dalle poltrone vellutate.
Ventuno 2012: Editoriale
