Intreccio
All’interno dei Giardini di via Mosso una grande tenda bianca si trova poco più in là dell’area ristoro, lì dove il pubblico chiacchiera e socializza in un momento di incontro. Sta per accadere qualcosa, così ci raccogliamo in prossimità di questa architettura temporanea e misteriosa. Lo sguardo cade sui tessuti colorati adagiati sul tavolo bianco, posto dinanzi la fessura della tenda dalla quale, lentamente, emergono due donne: Elisabetta Consonni e Fatyma.
C’è silenzio, l’atmosfera è quella dell’attesa di un rituale che sta per compiersi. L’una davanti all’altra si guardano negli occhi, poi iniziano a tagliare i tessuti e infine a intrecciarli. Ogni gesto è chiaro, compiuto con cura da due corpi che incantano lo spettatore semplicemente compiendo un’azione quotidiana, nel suo “qui ed ora” agito per loro stesse e per tutti. Questo è il primo dono di Elisabetta e di Fatyma: regalare una pausa dalla frenesia e dall’eccesso di informazioni e stimoli a cui ciascuno di noi è sottoposto continuamente, facendo qualcosa di apparentemente banale ma denso di significato: è la di condivisione di un sapere. Così una pratica personale diventa comunitaria e anche chi osserva si sente partecipe.
La treccia colorata adesso è mostrata dalle mani generose di Elisabetta e di Fatyma, che sorridono e volgendo le spalle al pubblico rientrano nella tenda: un luogo dove tutti siamo invitati ad accedere, uno per volta, per proseguire un’esperienza collettiva che si farà sempre più intima.
Dentro la tenda
Entrando ci si immerge in una sensazione di immediato benessere. La luce dorata accarezza l’occhio con gentilezza, i colori vivaci chiamano lo sguardo e lo invitano a scorrere da una parte all’altra della tenda, così che sembra esserci movimento tutt’intorno. Lo spazio pare più ampio di quanto non si direbbe da fuori: è uno spazio familiare.
Al centro una grande spirale di colore: un tappeto rotondo, intrecciato, che al tatto ricorda quelli su cui trascorrevamo le ore a giocare da bambini. «Sono tutti tessuti riciclati»: Fatyma lo ripete più volte, con orgoglio, poi indica le pezze di stoffa che decorano le pareti della tenda. «Faiza le ha ritagliate da abiti usati. Guarda lì in basso, le stampe con gli elefantini… Si era fissata con gli elefantini!», dice ridendo. Elisabetta indica una fila di oggetti allineati lungo il bordo della tenda, strane miniature di piramidi e altri monumenti. «Chi non mi ha insegnato una pratica ha voluto comunque contribuire donandomi qualcosa».
Il luogo ha qualcosa di magico, non soltanto per via dei cuscini sparsi tutt’intorno, o del tavolino e del mazzo di carte da cui pescarne una: si sente la presenza delle persone che insieme lo hanno costruito, la semplicità e la meraviglia insita nel creare qualcosa di nuovo a partire da ciò che si ha.
Stare seduto al centro della tenda è il primo dono che Special Handling offre allo spettatore, una forma di benessere silenziosa ma vitale: essere circondato da oggetti dalla provenienza più disparata, ma che fanno sentire a casa, perché qualcuno li ha disposti con cura per te.
La scelta
Quando, una volta nella tenda, rumore e insetti lasc iano il posto a silenzio e intimità familiare, Elisabetta e Fatyma invitano a una scelta. Non una di quelle che comportano il peso di una decisione: non si sa cosa si stia scegliendo, quali conseguenze avrà il risultato. E si sta compiendo una scelta puntando il dito su un origami indovino, memoria di giochi infantili.
Il rito compiuto dà avvio alla performance: come primo nome sull’origami leggiamo quello di Iuliana, e sulla parete della tenda appare un video. La protagonista è una donna che insieme al suo paese d’origine, la Romania, ha abbandonato la sua passione per i cavalli. Elisabetta chiede a Iuliana di donarle una sua particolare abilità in cambio del massaggio che le aveva precedentemente offerto, e Iuliana le dice che nel suo passato conosceva bene il mondo equestre. Elisabetta decide dunque di portarla in un maneggio, per darle modo di ricollegare il suo sapere invisibilizzato a un contesto in cui può renderlo di nuovo visibile.
Sull’origami compare poi l’indicazione “respirazione”, e allora con il corpo posato supino sul morbido tappeto di Fatyma una voce inizia a guidare il respiro attraverso una meditazione.
Poi, qualsiasi scelta sia stata compiuta, sentiamo domandarci «posso toccarti la testa?»: Elisabetta inizia a massaggiarla, ogni suono sfuma e inevitabilmente gli occhi, se ancora aperti, si chiudono.
Si intende condividere così anche con chi entra nella tenda la pratica offerta alle donne che hanno contribuito a costruirla, nella reciprocità dei doni di “cura” di Special Handling.
Chiara Di Guardo, Anna Farina, Francesca Marmonti
Questi contenuti fanno parte dell’osservatorio critico Raccontare le Alleanze