«Non siamo invitati, non siamo ancora in civiltà che ci invitano a esplorare con passione la dimensione poetica del nostro corpo. […] L’oggetto marionetta crea il ponte attraverso il quale possiamo intravedere questo indicibile del corpo».
«La marionetta mi permette di sottrarre il corpo alle determinazioni storiche, mi permette di avere qualcosa dell’ordine del corpo universale, e questo è ciò che mi interessa».
Kossi Efoui
Nato in Togo nel 1962, Kossi Efoui ha partecipato all’inizio degli anni ‘90 a un movimento non violento contro il regime di Étienne Eyadéma, che lo ha costretto in seguito a fuggire dal suo paese rifugiandosi in Francia, dove vive e opera tuttora. L’esperienza personale dell’esilio lo ha portato a trasferire nei suoi testi la condizione dei corpi diasporici, nonché la conseguente ricerca di una nuova identità, che si accompagna, nel suo caso, alla riflessione critica sul ruolo degli scrittori africani che sono fuggiti all’estero a seguito della diaspora.
Dopo la pubblicazione di romanzi e testi teatrali, che gli ha valso l’ottenimento di diverse borse e premi letterari francesi e africani, incontra nel 1999 la compagnia francese di teatro di figura Théâtre Inutile, con cui inizia un lungo percorso di collaborazione che continua ancora oggi. L’incontro con la scrittura di Kossi Efoui ha subito parlato a Nicolas Saelens, regista della compagnia: «mi è sembrato che Kossi avesse uno stile di scrittura “marionettistico”, uno stile che portava in sé una materia da manipolare», ha affermato in un’intervista a margine dello spettacolo Happy End. Dal 2006, anno del vero e proprio inizio della collaborazione con Kossi Efoui, la compagnia Théâtre Inutile lavora con l’autore attraverso una processualità che tiene conto di tutti gli elementi della scena: «il testo, l’oggetto plastico, lo spazio sonoro, la luce, i costumi, la scenografia, la recitazione, con al centro la figura, che intreccia sottili legami tra queste diverse scritture», come possiamo leggere nel dossier di presentazione della compagnia. All’interno di questo principio inclusivo del lavoro scenico, Kossi Efoui ha trovato, secondo la studiosa Pénélope Dechaufour, «il posto che intendeva occupare tra il palcoscenico e la pagina bianca», lavorando con Nicolas Saelens e gli altri collaboratori della compagnia secondo un principio di mutualità artistica che essi stessi chiamano di «co-ispirazione», dove la concezione di un’opera si realizza nella comunione di idee e nella condivisione di competenze ed esperienze.
Uno spettacolo che illustra molto bene il loro metodo di lavoro è En guise de divertissement (creato nel 2013). Lo sviluppo è iniziato sul palcoscenico, con una serie di improvvisazioni intorno alla figura di un manichino, costruito prima della stesura del testo. Mentre gli attori lavoravano sulla manipolazione in diverse situazioni, l’autore, presente durante le prove, rispondeva alle proposte visive degli attori e della figura proponendo dei testi. Sulla base di questi testi, Saelens dava indicazioni registiche agli attori. Questo andirivieni tra la scena e la pagina ha portato allo sviluppo di una linea drammaturgica che l’autore ha seguito, formulando infine una proposta per il testo finale.
En guise de divertissement si caratterizza come una satira della pratica politica e storica di esibire corpi non ordinari a scopo di intrattenimento: cinque attori tracciano attraverso la manipolazione di un manichino il rapporto con il corpo dell’altro nello spazio pubblico, che è sempre (anche) uno spazio performativo, e dunque un luogo d’intrattenimento.
Il testo fa riferimento in particolare a tutte quelle pratiche di esposizione di corpi diversi, sofferenti o difformi che si sono susseguite nella storia, dagli zoo umani (o “esposizioni etnologiche”), frutto della cultura coloniale e razzista, al “ballo delle folli” (le bal des folles), un’attrazione molto in voga nella Parigi del XIX secolo, dove l’élite parigina si raccoglieva per osservare donne affette da disturbi mentali, pazienti del famoso neurologo Jean-Martin Charcot che le obbligava a tale esposizione. «A questo parco giochi si aggiungono le domande sulla nozione di sguardo: qual è il posto dello spettatore? Come viene costruito il nostro sguardo? Perché, proprio come lo spettacolo, anche lo sguardo è costruito. Se un tempo certi (cattivi) trattamenti pubblici dei corpi erano considerati “accettabili”, è perché questo sguardo era già stato condizionato», scrive Saelens nel dossier di presentazione. Il testo di Kossi Efoui ripercorre, in maniera poetica e non didascalica, tali pratiche disumanizzanti, e si concentra su tutti i corpi stigmatizzati, derisi, non accettati, ovvero su tutti quei corpi a cui è rifiutato, per ragioni principalmente culturali, lo statuto di esseri umani. Attraverso l’uso della figura, ciascuno di quei corpi è evocato in maniera universale, manipolato da altri esseri umani ed esposto, ancora una volta, di fronte a un pubblico.
Figura (sarebbe impossibile definirlo “personaggio”) centrale di En guise de divertissement è infatti un manichino di grandezza un po’ più che naturale, chiamato L’Oiseau. Il manichino è al centro delle attenzioni di un gruppo di cinque attori (detti histrions), che lo studiano e ispezionano come un essere sconosciuto, arrivando anche a smembrarlo nelle sue diverse parti. Il corpo stigmatizzato, il corpo estraneo e difforme si fa qui fulcro di tutta l’azione scenica, che è interamente costruita attorno alla figura del manichino. Non a caso, inizialmente L’Oiseau è presentato come un Histrion Inconnu, un “attore sconosciuto”, ed è talvolta definito anche attraverso l’espressione drole d’oiseau, “un tipo strano”, a significare qualcuno di bizzarro ed estraneo. Scrive Kossi Efoui a proposito della figura de L’Oiseau:
Ha attraversato la storia sotto mille nomi. Ha attraversato i tempi dei divertimenti virili in cui si rideva di lui per vederlo nascosto, per vederlo cacciato, per vederlo esposto. In altre vite passate è stato chiamato “wildermann”, selvaggio, uomo dei boschi, uomo delle praterie, strega, annamita del tipo siamese o fondamentale, che crede nei demoni, negli orchi, nelle sirene, negli amuleti, nei filtri magici, negli indovini. Non ha un colore preciso, non ha un’origine precisa, non ha un sesso preciso, non ha radici precise. Nessun esemplare è stato più esposto di lui al coltello, alla pallottola, al fuoco, alla corda. Per ridere. Il suo nome è L’Oiseau. Ha mille vite. Ha conosciuto mille morti nel corso dei secoli. Questa sera, cinque istrioni lo faranno risorgere davanti ai nostri occhi per una performance unica nel suo genere.
Figura, dunque, dalle sfaccettate significazioni simboliche: questo histrion inconnu si caratterizza sia come corpo estraneo, selvaggio, giudicato ed esposto al pubblico ludibrio nel corso della Storia, sia come individuo estraneo, come identità diversa e per questo marginalizzata, un’alterità singolare che è lasciata ai margini della società senza esserne del tutto al di fuori: simile, dunque, alla figura dell’artista, ricorrente nei testi di Kossi Efoui.
Il faut dire : Gens, ô gentes gens qui habitez les temps de paix, de pardon, de tolérance, dans l’affrontement généralisé que provoque l’industrie du SHOW TIME, nous, Histrions tout-terrain, tout-acabit, tout-talent, nous qui faisons dans l’art du divertissement artistique depuis un nombre incalculable, un nombre imaginaire de siècles, gens ô gentes gens qui habitez les temps de paix et qui nous aimez, nous avons décidé, pour l’amour de vous ce soir, de faire dans la soie.
Dans l’histoire même.
La grande histoire du divertissement.
La grande, l’extraordinaire aventure du divertissement à travers les siècles.
C’est pourquoi nous, Histrions tout-terrain, tout-acabit, tout-talent, nous avons ressuscité devant vous ce soir le corps de l’Histrion inconnu, de son vrai nom, L’Oiseau.Bisogna dire: Gente, o gente gentile che vivete in tempi di pace, di perdono, di tolleranza, nello scontro generalizzato provocato dall’industria dello SHOW TIME, noi, Istrioni tutto-fare, tutto-qualità, tutto-talento, noi che siamo nell’arte dell’intrattenimento artistico da un numero incalcolabile, un numero immaginario di secoli, gente, o gente gentile che vivete in tempi di pace e che ci amate, abbiamo deciso, per amore vostro questa sera, di farlo in seta.
Nella storia stessa.
La grande storia dell’intrattenimento.
La grande, straordinaria avventura dell’intrattenimento attraverso i secoli.
Ecco perché noi, istrioni tutto-fare, tutto-qualità, tutto-talento, abbiamo resuscitato davanti a voi stasera il corpo dell’istrione ignoto, il cui vero nome è L’Oiseau.
L’azione dello spettacolo procede per quadri, che alternano la presenza dei cinque istrioni a quella del manichino, a volte presente in mezzo a loro e manovrato a vista, altre volte da solo sulla scena, manovrato su fondo nero attraverso una tecnica simile a quella del bunraku. Il manichino, costruito dall’artista visivo Norbert Choquet, ha forma umana ed è articolato in modo da muoversi come un corpo umano, senza dare tuttavia un effetto di iperrealismo. In alcune scene esso viene scomposto, e braccia, gambe e testa sono usate dai performer come protesi aggiuntive ai loro corpi. Tale presenza così costante e insistente del manichino sembra costituirsi come affermazione fisica dell’esserci, ovvero come materializzazione di quel corpo esposto su cui la pièce è incentrata. In En guise de divertissement la marionetta sembra essere usata come oggetto affermante una presenza, si direbbe farsi protagonista e fulcro dello spettacolo. Il testo, oltre i quadri agiti dagli istrioni, presenta infatti tre momenti di sospensione, indicati nel testo da un preciso titolo: la legende des mannequins (“la leggenda dei manichini”). Caratterizzati da un registro più fiabesco e poetico rispetto al resto del testo, sono evocazioni ricamate attorno alla figura del manichino, che sembrano materializzare, almeno momentaneamente, quell’esplorazione appassionata della dimensione poetica dei nostri corpi auspicata da Efoui nella citazione in esergo.
Légende de mannequin I : le corps de l’homme
Écoute, écoute, écoute, c’est la légende des mannequins. C’est le chant des êtres sans corps. C’est la voix des corps dispersés. C’est le chant qui dit:
Puisque son corps n’a pas été retrouvé
Il faut bien que tu ressuscites sa musique.
Écoute, écoute, écoute, c’est la légende des mannequins. C’est le chant des êtres sans corps. C’est le chant d’amour sans paroles. Il faut bien que tu ressuscites sa musique. […]Leggenda del manichino I: il corpo dell’uomo
Ascolta, ascolta, ascolta, è la leggenda dei manichini. È il canto degli esseri senza corpo. È la voce dei corpi dispersi. È il canto che dice:
Poiché il suo corpo non è stato ritrovato
Devi far risorgere la sua musica
Ascolta, ascolta, ascolta, è la leggenda dei manichini. È il canto degli esseri senza corpo. È il canto d’amore senza parole. Devi far risorgere la sua musica. […]Légende de mannequin II : Le corps de l’oiseau
Où sur terre j’ai échoué?
Où sur terre j’ai échoué?
Tu parles ou on ne t’entend pas?
Je sais ce que tu dis quand tu parles.
Tu dis: Où sur terre j’ai échoué?
Je sais que déjà tes pas, de pays en pays,
Tes pas fuyant déjà comme ci, fuyant déjà comme ça, de bas-côté en bas-côté tes pas disaient déjà ça : Où sur terre j’ai échoué?
On t’a vu marcher caché, on a ri. On t’a vu ramper caché, on a ri. On t’a vu voler caché. On a ri. Tu te retrouves dans la foule d’une ville. Louvoyer, louvoyer, je sais ça, cacher les ailes pour ne pas être reconnu, je sais ça.
Les lieux de la scène s’appellent les faces de la terre.
Et n’importe quel enfant peut surgir et crier de joie: «L’Oiseau, L’Oiseau. C’est moi qui l’ai reconnu. À moi la récompense».
Et tout ce qui fait grotte, puits, égout, latrines devient abri.
Pourtant, personne n’en mangeait, de L’Oiseau.
C’était pour rire.
Au feu, tu fus exposé au feu
fus exposé à la balle
fus exposé au couteau
Pour rire.
Show time.
[…]Leggenda del manichino II: Il corpo dell’uccello
Dove mai ho fallito?
Dove mai ho fallito?
Parli o non ti sentiamo?
So cosa dici quando parli.
Dici: dove mai ho fallito?
So che già i tuoi passi, di paese in paese,
I tuoi passi stavano già fuggendo così, in fuga così, da una parte all’altra, i tuoi passi stavano già dicendo questo: Dove mai ho fallito?
Ti abbiamo visto camminare nascosto, abbiamo riso. Ti abbiamo visto strisciare nascosto, abbiamo riso. Ti abbiamo visto volare nascosto. Abbiamo riso. Ti ritrovi tra la folla di una città. Svicolare, svicolare, ho presente, nascondere le ali per non essere riconosciuto, ho presente.
I luoghi della scena sono chiamati facce della terra.
E ogni bambino può saltare in piedi e gridare di gioia: «L’Uccello, l’Uccello. Sono stato io a riconoscerlo. La ricompensa è mia».
E tutto ciò che è una grotta, un pozzo, una fogna, una latrina diventa un rifugio.
Eppure nessuno ne ha mangiato, dell’Uccello.
Era per ridere.
Nell’incendio, sei stato esposto al fuoco
sei stato esposto al proiettile
sei stato esposto al coltello
Per ridere.
Show time.
[…]
“Esseri senza corpo”, “corpi dispersi”, corpi che devono nascondersi, diventano simbolo della condizione di chi è relegato ai margini della società umana, di chi non è pienamente accettato e la cui identità risiede nel giudizio di chi lo guarda. L’Oiseau veicola quello stesso significato di alterità, di invisibilità che è stato imposto a migliaia di corpi nel corso della storia. In tal senso, il ricorso alla figura del manichino si rende necessario per rendere una condizione di alterità che difficilmente potrebbe essere resa in modo altrettanto significante attraverso il corpo umano di un attore.
Figura, dunque, come mezzo per rendere comunicabile o collettivo ciò che di per sé non lo è, o fatica a esserlo. Il manichino dell’Oiseau diventa leggenda degli “esseri senza corpo”, di tutti gli emarginati, di coloro giudicati difformi. In modo peculiare, la scrittura drammaturgica di Kossi Efoui fa direttamente ricorso all’oggetto-figura, la inserisce nel corpo del testo e la usa per esplorare una parte invisibile del linguaggio. Dire il diverso, l’ignoto, l’invisibile attraverso l’intermediario dell’oggetto performativo significa affrontarlo con un détour, una distanza che elimina i filtri di percezione dell’abitudine per attingere a una dimensione più profonda del dire.
Francesca Di Fazio