In occasione del centenario della nascita di Joseph Beuys, il Teatro delleAli, nell’ambito del progetto En plein air, ha presentato una serie di iniziative legate alla straordinaria figura dell’artista tedesco. Dei quattro blocchi di incontri, tenutisi tra novembre e dicembre 2021, il terzo ha per titolo La rivoluzione siamo noi, uno dei quattro semplici motti che Beuys coniò come istanze programmatiche della sua arte, insieme a «ogni uomo è un artista», «kunst = kapital» (arte = capitale, nda) e «difesa della natura».

«La rivoluzione siamo noi. Nelle nostre idee risiede l’unica rivoluzione possibile. Solo nel nostro comportamento e nella comprensione vi è evoluzione». A partire da questa citazione dell’artista, i promotori del progetto si sono posti una domanda giocando con le parole: «Siamo noi la Risoluzione?».
È questo il cuore concettuale della performance: se è vero che la risoluzione siamo noi, cosa stiamo facendo per fare la rivoluzione? Il teatro delleAli – Annalisa Limonta, Valeria Cordara e Antonello Cassinotti – risponde proponendo un’istallazione durevole (resterà in loco per tutto il prossimo anno) che nelle intenzioni invita gli osservatori a confrontarsi sul significato degli slogan beuyssiani.

foto: Gaia Capone

Accolti dalla natura di un freddo pomeriggio di novembre, donne e uomini si adoperano attorno ad una catasta di legna.  Si sentono profumi di campagna, di aria aperta e di vin brûlé.
Una piccola comunità raccolta attorno a questo spazio sospeso sta ultimando i preparativi che ci introducono all’installazione.
La struttura protagonista è uno scheletro di metallo di forma cubica al quale vengono sospese quattro altalene, una per ciascun lato. Su ciascuna di esse, i performer scrivono i quattro slogan con l’auspicio che quello spazio possa diventare un luogo di confronto e di riflessione per i futuri viandanti e visitatori.
Questa costruzione simbolica, situata all’estrema periferia di una metropoli, cela un’ulteriore riflessione che va oltre il ricordo dell’artista: le altalene, oscillando in uno spazio ridotto – l’area complessiva è 27 metri cubi – devono infatti muoversi con coordinazione, pena lo scontro. Ogni persona che fluttua sospesa, spingendosi dentro e fuori dal cubo, ha così il dovere di osservare come si muovono le altre, per non rischiare di colpirle o di esserne colpita. È una restituzione plastica e dinamica della comunicazione verbale. I/le partecipanti prendono posto sulle altalene e iniziano a dondolarsi trovando la giusta qualità (e quantità) di movimento, nel rispetto altrui: una spinta troppo violenta rischierebbe infatti di causare lo scontro delle gambe, obbligando chi si siede a calibrare ciascuna spinta, esattamente come in ogni conversazione siamo obbligati a scongiurare il rischio di un monologo.
È possibile inoltre osservare come le altalene permettono di essere cavalcate su due lati: in un caso lo sguardo è rivolto all’interno del cubo, nell’altro si osserva l’esterno, dando le spalle al centro della struttura. Chi partecipa alla performance è obbligato a considerare l’altro e a fare attenzione a come si muove. Si sottende la domanda «quanto è importante l’altro nella costruzione del proprio percorso di vita? ».

foto: Gaia Capone

Nonostante il freddo pungente, si parla di arte, di rivoluzione, di Beuys. Si beve vin brûlé e si prova a rispondere che si può essere noi la rivoluzione, o la risoluzione. Assunzione di responsabilità, rifiuto della delega e dell’attendismo potrebbero essere un interessante inizio per rivoluzionare l’attuale stato delle cose.
La seconda parte dell’evento si svolge nello storico locale Bloom, di Mezzago, e consiste nella proiezione del film documentario di Ilaria Freccia La rivoluzione siamo noi: un’immersione nella fecondità creativa dell’arte contemporanea in Italia nel decennio 1967-77, attraverso l’uso di materiali d’archivio e interviste ai protagonisti di quella fase.

A una manciata di minuti di distanza dal luogo dove è situata l’istallazione, sopravvive così un luogo che ha fatto la storia della musica, ospitando artiste e artisti del calibro dei Nirvana. Generazioni diversissime si ritrovano in questo luogo per partecipare a concerti, spettacoli, mostre, workshop e proiezioni di film, ma anche solo per un aperitivo. Nell’era della perdita di identità dei luoghi, e della rinuncia – spesso forzata – alla socialità dei corpi, respirare l’atmosfera di un locale che “ce l’ha fatta” e che continua a ospitare iniziative ed eventi significativi, ci permette di rispondere con convinzione alla domanda di partenza: sì, la rivoluzione siamo noi.

Ivan Colombo

foto di copertina: Gaia Capone


Questo contenuto è parte dell’osservatorio dedicato al progetto En Plein Air