Giunti al termine del progetto En plein air, che ha messo in rete diverse realtà teatrali diffuse sul territorio lombardo, offrendo l’opportunità di confrontarsi (e contaminarsi) a partire dalla riflessione sull’impiego di spazi aperti – piazze, borghi, campi, boschi – e dal tema dell’arte performativa come occasione per la costruzione di una comunità, intervistiamo il direttivo del Teatro delleAli. A partecipare alla conversazione sono Antonello Cassinotti, Alessandra Anzaghi e Giada Balestrini – le cui parole sono qui restituite come un’unica voce – a un anno di distanza dall’inaugurazione della performance di arte partecipativa Beuys senza Beuys 1921/2021 – La rivoluzione siamo noi tra i campi di asparago rosa di Mezzago (MB). DelleAli Teatro, attivo dal 1996, ha un approccio all’elemento spettacolare finalizzato all’indagine delle influenze tra le diverse forme di espressione artistica, e costruisce la sua identità sul teatro di comunità e di ricerca.

Come si inscrive la creazione di arte partecipativa Beuys senza Beuys all’interno del progetto En plein air?

Il lavoro, interamente dedicato alla figura di Joseph Beuys, nasce prima di En plein air ma si adatta perfettamente ai parametri richiesti dal progetto: realizzazione all’aperto, interdisciplinarietà, coinvolgimento del pubblico, cura come tematica centrale. Beuys è un artista dalla biografia controversa: in gioventù aderì al nazismo, ma l’esperienza della guerra lo cambiò. Attraverso la sua arte , tuttavia, compie un tentativo di riconnettere gli esseri umani tra loro, in una dimensione spirituale e universale: questo, per noi, ha a che vedere con la cura nel suo senso più alto. Più in generale, la poetica del Teatro delleAli pone da sempre una particolare attenzione alle componenti del pubblico e del territorio; l’opportunità offerta da Fondazione Cariplo ci sembrava particolarmente consonante alle nostre linee di indagine.

Antonello Cassinotti, foto di Pierluigi Palazzi

Beuys senza Beuys è una performance durevole, realizzata nella campagna di Mezzago. Cosa registrate in termini di partecipazione del pubblico, a un anno di distanza?

Il nostro obiettivo era quello di offrire alla comunità un luogo di incontro, e al contempo una serie di spunti di riflessione a persone diverse tra loro, così da stimolare una convergenza tra pubblici differenti. La forma espressiva che abbiamo scelto non è stata certo di lettura immediata e, come ci aspettavamo, ha richiesto del tempo per essere metabolizzata. Con i ragazzi e le ragazze delle scuole superiori, invece, è stata effettuata un’efficace opera di sensibilizzazione all’arte performativa e alla poetica di Beuys. L’analisi effettiva e puntuale del lavoro nella sua interezza (l’ultimo appuntamento è stato il 17 dicembre 2022, ndr) non è ancora avvenuta: in quanto artiste e artisti abbiamo il dovere di lasciar sedimentare la grande quantità di materiale raccolto e lasciare che esso respiri. Per ora abbiamo piantato soltanto alcuni semi ma il carattere evolutivo del progetto richiede un’attesa necessaria: non escludiamo che possa confluire in un blog, in un podcast, una pubblicazione, o addirittura uno spettacolo!

La sensazione è che abbiate dato corpo a un’occasione per cementare i legami comunitari. Qual è la relazione che sussiste tra proposta artistica e pubblico? Come registrate in termini qualitativi la reazione degli spettatori?

Questo progetto è nato all’interno di una residenza teatrale diffusa su tutto il territorio del vimercatese, all’interno della quale curiamo progetti diversi tra loro rivolti a pubblici differenti: ad esempio, quando lavoriamo coi bambini registriamo il grado di soddisfazione in presa diretta o attraverso la somministrazione di questionari. Con i progetti per gli adulti non sempre abbiamo una continuità tale da consentirci un monitoraggio: la natura variegata delle proposte – che spaziano da spettacoli tradizionali, a walkscapes nei boschi fino a performance site-specific come la piantumazione di alberi – convergendo nella rete dei partner a cui apparteniamo, non permette di stabilire parametri assoluti con cui potere misurare gli esiti delle nostre proposte. Nel caso del progetto annuale En plein air, invece, ci è stata fornita l’opportunità di constatare la reazione  del pubblico attraverso il dialogo diretto.
Siamo particolarmente felici del lavoro svolto come catalizzatori di comunità: in questo momento storico il pubblico non è più solamente passivo, ma desidera essere parte attiva di un processo partecipato; soprattutto, gli spettatori cercano momenti di aggregazione per una rinnovata spinta alla condivisione del proprio tempo, indipendentemente dal contenuto proposto. La vera riflessione sul contemporaneo che solleviamo, a partire dalla figura di Beuys, riguarda ciò che avviene a margine della performance: la relazione tra persone.

Alessandra Anzaghi

Ogni comunità ha la necessità di un luogo, fisico o virtuale, a cui riferirsi. Dopo la presentazione dell’istallazione l’evento è proseguito allo storico Bloom di Mezzago. Quale eredità porta con sé in termini di frequentazione e come incide su un territorio di provincia?

Sin da quando trentacinque anni fa il Bloom si è costituito, ha accompagnato lo sviluppo del territorio circostante con un’attenzione particolare alla contemporaneità ma anche e soprattutto a un’idea di comunità. Attraverso la propria vocazione a un essere punto di riferimento culturale ha attratto a sé un gruppo eterogeneo sia dal punto di vista della classe sociale, sia dal punto di vista generazionale. Negli anni è stato capace di resistere, seppur con fatica, alla spinta privatizzatrice e ha conservato un’idea centrale di collegialità relativamente alle scelte artistiche. Durante la pandemia è stato un ancoraggio necessario e ancora oggi vanta una frequentazione ricchissima. Un polo così forte ha permesso a tutto il territorio circostante di avere un respiro internazionale e un’apertura inusuale per una zona di provincia come Vimercate. Anche questo ha consentito la diffusione di linguaggi sperimentali e la costituzione di una comunità coesa in un luogo, come quello di queste campagne, abitato dall’umanità più varia.

Questa attenzione all’elemento umano nella definizione del proprio lavoro determina il successo di una realtà teatrale, specialmente nel contesto di teatri periferici. Finora abbiamo osservato la costituzione di una rete di persone attorno alla vostra realtà: qual è, invece, il rapporto tra le diverse realtà operanti sul territorio all’interno del network Etre?

Etre è costituita da tredici diverse realtà, ma solo sette rientrano nel progetto En plein air. Noi siamo parte attiva da diversi anni di questo gruppo diffuso, e non è la prima volta che collaboriamo. Forse è necessario un rapporto di confronto più concreto e diretto allo sviluppo collettivo, ma ciò non significa che non avverrà in futuro: la distanza chilometrica e l’eterogeneità delle proposte rendono a tratti difficoltoso il dialogo tra le realtà coinvolte. Gli hakhaton a cui abbiamo partecipato lungo il percorso sono stati certamente preziosi per un confronto sulle idee ma non ancora sufficienti sul piano concreto e progettuale.

Giada Balestrini

Alla luce delle ultime esperienze, come ritenete che debba adeguarsi la proposta teatrale?

Appena conclusa l’esperienza pandemica abbiamo visto moltiplicarsi gli spettacoli all’aperto e con altrettanta velocità, non appena il pericolo è rientrato, si è tornati alla forma classica. Noi abbiamo iniziato a lavorare in quella direzione, ma abbiamo intenzione di assecondarla ancora: crediamo che non abbia esaurito la sua funzione e che non ne siano state esplorate tutte le possibilità. Nella nostra esperienza artistica futura non potremo mai più fare a meno di riflettere sull’interazione col pubblico. C’è una dimensione più “esperienziale” a cui vogliamo porre attenzione e nel teatro all’aperto, ad esempio, l’elemento meteorologico partecipa alla rappresentazione proprio come farebbe un personaggio: la natura ha un ruolo centrale nella nostra riflessione artistica. I confini si sono allargati e la relazione con l’altro, o addirittura con l’ambiente, assume delle caratteristiche nuove che rappresentano per chi è in scena una sfida interessante, tanto quanto lo è per il pubblico che sta partecipando all’esperienza.

Ivan Colombo


in copertina: La rivoluzione siamo noi,  foto di Gaia Capone

Questo contenuto è parte dell’osservatorio dedicato al progetto En Plein Air