Avere visioni, immaginare possibilità e disegni forse inattuabili, essere un sognatore, un mistico. Nel 2017, ben 31 persone hanno preso parte al gruppo dei Visionari composto da cittadini comuni e spettatori non professionisti.
Diventati, nel corso degli anni, il tratto distintivo di Kilowatt Festival, Visionari e Visionarie selezionano durante l’inverno di Sansepolcro spettacoli di compagnie o singoli artisti emergenti e indipendenti, scegliendone 9 da presentare al Festival. I Visionari partecipano poi attivamente alle giornate di Kilowatt spiegando al pubblico il perché delle loro decisioni e incontrando gli artisti e la stampa ogni mattina dopo la messa in scena degli spettacoli. In undici anni il progetto (che è valso a Kilowatt un Premio Ubu nel 2010) è cresciuto, le pratiche di audience engagement e audience development sono sempre più diffuse insieme all’idea di uno spettatore che sia attivo e re-attivo. Così, dalla stagione 2015/2016, è nato il progetto L’Italia dei Visionari: da Sansepolcro all’intera penisola, con sei festival, sei teatri, sei enti culturali che hanno deciso di adottare la pratica nata a Kilowatt, coinvolgendo spettatori non esperti di teatro nella scelta della loro programmazione. Ma anche oltre i confini nazionali con il progetto Be SpectACTive! che incoraggia un dialogo interculturale tra professionisti dello spettacolo, artisti e pubblico, che ha coinvolto 12 teatri e Università e oltre trecentomila spettatori europei.
Noi siamo tornati dove tutto è iniziato e a Sansepolcro abbiamo intervistato tre Visionari. Ecco quello che ci hanno raccontato Andrea, biologo, Visionario da 6 anni; Nicoletta, architetto, Visionaria da 6 anni; Solange, madre prima di tutto, Visionaria da 1 anno.
Come è cambiata negli anni la tua esperienza da Visionario?
Andrea_ Ho scelto di entrare a far parte del gruppo dei Visionari per curiosità: ero interessato alle relazioni che si sarebbero potute instaurare e alle fotografie che avrei potuto scattare. Più che sul lavoro io ho percepito un cambiamento in me stesso. Sono un biologo che si interessa di fotografia e non conoscevo né frequentavo il teatro. In sei anni ho visto decine e decine di spettacoli, così il modo con cui approccio i lavori teatrali si è modificato profondamente.
Nicoletta_ Io ho iniziato casualmente. Sei anni fa ho partecipato come spettatrice a uno degli incontri tra Visionari, critici e artisti dopo che gli spettacoli da loro scelti sono andati in scena. Mi aveva incuriosito e ho iniziato ad interessarmi al loro lavoro, anche perché stavo vivendo un periodo abbastanza faticoso e avevo bisogno di energie nuove, di qualcosa di creativo. Ciò che è cambiato è innanzitutto il mio approccio all’arte, ma ho anche imparato a conoscermi meglio. Ad esempio mi sono resa conto che il mio modo di selezionare gli spettacoli predilige il linguaggio visuale: mi catturano molto più le immagini rispetto alla parola, preferisco spettacoli visivi o di danza. Ho scoperto il mondo della danza proprio grazie a Kilowatt Festival: ho imparato a conoscere una forma d’arte che non pensavo potesse essere di mio gusto e che invece ora sento molto vicina a me. Oltre ai miei gusti negli anni sono cambiate anche le modalità di lavoro all’interno del gruppo: per noi è un processo lungo che inizia a gennaio e finisce ad aprile, con centinaia di spettacoli. È un impegno serio che molte persone nel corso dell’anno abbandonano, per cui chi resta ha più lavoro da fare, ma questo fa parte del gioco. È un sacrificio di tempo che a me appassiona moltissimo.
I Visionari sono una realtà ormai conosciuta in tutta Italia e rappresentativa di Kilowatt Festival. Com’è entrare a farne parte?
Solange_ Innanzitutto non avevo idea prima di venerdì sera (14 lulio,durante la diffusione in Piazza Torre di Berta della voce di Ermanna Montanari che recitava una delle sue Miniature Campianesi) che il gruppo dei Visionari fosse così conosciuto e tanto considerato. È una consapevolezza che noi come Visionari non abbiamo, anche chi ci lavora da anni. Prima di entrare a farne parte inoltre non immaginavo fosse un impegno tanto faticoso. Io mi sono avvicinata a Kilowatt dopo essermi trasferita in Toscana da Modena, dove lavoravo in un gruppo di teatro. Mi ero resa conto di aver bisogno di un festival teatrale, di spettacoli, di arte. Non conoscevo Kilowatt e non sapevo nemmeno fosse una realtà tanto importante, conosciuta e interessante. Inizialmente entrare a far parte di un gruppo così affiatato è molto stimolante, anche se lascia un po’ spiazzati: dopo aver visionato una decina di spettacoli bisogna compilare le schede tecniche che per me sono state la parte più complessa del lavoro. Non sapevo bene cosa dire, come dirlo, non mi sentivo preparata, e non ritenevo di avere l’autorità, ad esempio, di bocciare un progetto oppure temevo di dire banalità. È grazie al supporto del gruppo che sono riuscita a superare queste prime resistenze.
Il modo di lavorare dei Visionari è cambiato molto negli anni, infatti se prima tutto il gruppo guardava ogni spettacolo, oggi le oltre 300 proposte vengono divise tra tutti, quest’anno 31 persone. Dopo una prima scrematura valutiamo insieme una quarantina di spettacoli che hanno superato le prime fasi di selezione e successivamente, alla riunione finale, tra grandi discussioni, decidiamo quelli che saranno presentati a Kilowatt Festival. Ognuno ha punti di vista differenti, quindi è faticoso accordarsi, ma è anche questo il bello del nostro gruppo: selezionare i 9 spettacoli è un grande lavoro, un divertimento e anche una grande responsabilità.
Dopo cinque mesi di selezione degli spettacoli tramite video, com’è il confronto con la messa in scena dal vivo, riscontrate delle differenze?
Andrea_ Io trovo moltissima differenza tra gli spettacoli in video e quelli che poi vediamo dal vivo. Ad esempio questo è accaduto con Giovanna D’Arco – La rivolta (testo di Carolyn Gage, con Valentina Valsania, Compagnia Pupilunari), uno spettacolo che personalmente non avrei scelto, ma che dal vivo mi è sembrato molto bello e interessante. Penso che il problema, nella maggior parte dei casi, sia legato alla bassa qualità dei filmati che risultano spesso poco significativi. Il teatro per me come è l’opera lirica e come il jazz, deve essere sperimentato dal vivo, altrimenti perde di valore. Capita anche ci vengano presentati dei video ‘ruffiani’, fin troppo curati e, dopo anni di lavoro, abbiamo imparato a essere sospettosi: spesso chi cerca l’effetto nelle riprese non rende allo stesso modo dal vivo.
I primi anni non accettavamo i video integrali, ma solo da 20 minuti – una sorta di video-trailer – che, a discrezione della compagnia, potevano essere un montaggio di parti dello spettacolo oppure una sola scena dello stesso. Per me era una modalità di selezione che, seppur più rischiosa, aveva proprio nel rischio i suoi punti di forza. In un festival come Kilowatt credo sia necessario anche buttarsi senza rete, mentre negli ultimi anni la sensazione è quella di una rete sempre più presente: la maggior parte degli spettacoli che abbiamo visionato erano accademici, più tradizionali, meno rischiosi. Ad oggi il livello medio si è sicuramente alzato, ma in passato i lavori erano più coraggiosi.
Nicoletta_ Le differenze ci sono, ma vedere gli spettacoli in video è anche l’elemento che caratterizza il progetto dei Visionari. Sono tutti alla pari, perché sono tutti presentati integralmente tramite riprese, ed è qui che sta la bravura degli artisti e delle compagnie. C’è chi gioca meglio le proprie carte e chi le gioca peggio. Abbiamo scelto i video integrali perché, come ricordava Andrea, nei primi anni ciò che si vedeva in video era spesso completamente diverso dal lavoro che poi veniva presentato al festival. C’erano compagnie che riprendevano una scena intera differente dal resto dello spettacolo, per atmosfera, stile recitativo o addirittura tematiche, o chi montava le parti più belle dello spettacolo lasciando intuire un ritmo che poi non si riscontrava dal vivo. Era un limite delle linee guida del progetto, che con la visione di video integrali a mio parere è stato superato. Sono comunque d’accordo con Andrea sul fatto che, negli ultimi anni, c’è stato un appiattimento creativo: i temi si ripetono e anche le scenografie si assomigliano sempre più.
Solange_ Si riscontrano molte differenze, ma come diceva Nicoletta sta anche alla bravura di chi presenta il video riuscire a rendere l’idea dello spettacolo. Tornando a parlare di Giovanna D’Arco – La rivolta in quel caso, ad esempio, il video era molto curato, cinematografico. Il punto di vista non era solo frontale, c’erano riprese dal retro del palco e dai lati. In questo modo il filmato risultava piacevole e non noioso, qualità piuttosto rare nei video che ci vengono presentati che spesso, oltre alla scarsa qualità dei filmati sono anche difficilmente fruibili. Quest’anno, che è il secondo per me come visionaria, ma il primo dopo anni che avevo abbandonato il progetto, ho notato, come accennavano Andrea e Nicoletta, una sorta di livellamento nelle proposte. Nella maggior parte degli spettacoli che abbiamo visto, ad esempio, le luci erano neon, le musiche molto simili, fra techno ed elettronica, molti spettacoli dicevano troppo, esplicitavano il non detto, anziché suggerirlo.
Gli aspetti migliori e quelli peggiori di essere un Visionario…
Andrea_ Nonostante sia una situazione comune a festival, Onlus e organizzazioni di vario genere, l’aspetto per me più complesso a livello organizzativo è la commistione tra chi è volontario come noi e chi vive con questo lavoro. È difficile unire le due cose, perché sono due mondi e due modi di lavorare necessariamente diversi. Una seconda difficoltà è invece interna a noi Visionari: c’è chi si prende troppo sul serio, specialmente chi ha una preparazione teatrale o affine. A mio parere i Visionari dovrebbero essere più leggeri. L’aspetto più bello è invece legato al mio percorso personale. In questi sei anni ho imparato a conoscere il mondo del teatro, ho affinato i miei gusti, continuo a vivere esperienze notevoli, come gli incontri con artisti, autori, attori, giornalisti. Sono cresciuto e mi sono messo alla prova. L’altra parte migliore è essere un piccolo ingranaggio in un evento importante a livello territoriale e nazionale: fino all’anno scorso non avevo consapevolezza dell’interesse che Kilowatt e i Visionari suscitano in Italia ed è una grande soddisfazione rendersene conto, oltre a essere una grande responsabilità.
Nicoletta_ La parte migliore è la possibilità di vivere il mondo del teatro e dell’arte da vicino, curiosare al suo interno, avere l’esclusiva di vedere i lavori in anteprima, oltre al divertimento che provo le sere in cui devo guardare gli spettacoli. Tra gli aspetti migliori c’è poi il momento in cui vediamo dal vivo quello che durante l’inverno abbiamo selezionato: è un’emozione fortissima. Per concludere i lati positivi, è un piacere partecipare a un progetto che arricchisce il territorio da cui provengo. Il principale lato negativo è invece la fatica, anche se in fondo non la percepisco così tanto. Se ci fossero molti lati negativi non penso continuerei a far parte del gruppo dei Visionari.
Solange_ A me piace essere parte dei Visionari, amo il teatro, amo vedere gli spettacoli in anteprima la sera, mi piace discutere con il gruppo e scegliere insieme. Amo anche il fatto che nel gruppo ci siano persone che non hanno niente a che vedere con questo mondo, penso sia un’enorme ricchezza. Mi è piaciuto scoprire che per un singolo spettacolo ci sono 31 pareri diversi. Inoltre, venendo da un’altra città, questa esperienza mi ha permesso di conoscere altre persone e apprezzo il fatto che il Festival duri tutto l’anno, tenendo Sansepolcro viva da un punto di vista teatrale. Il lato negativo è il tempo. Ne abbiamo poco per selezionare gli spettacoli, è sempre un po’ un rincorrersi per incontrarsi e, tra lavoro, figli, tantissimi spettacoli, a volte diventa difficile districarsi tra gli impegni, ma è parte del gioco. E ne vale la pena.
Camilla Fava e Chiara Marsilli