Due donne dalla presenza sospetta entrano in scena. Entrambe indossano un lungo abito a motivi floreali e nascondono il proprio viso sotto vistosi occhiali da sole. Parlano all’unisono con voce quasi oracolare: ed è da questo gioco retorico che si sviluppa la tragedia.

Così si apre Lei Lear, spettacolo della programmazione ufficiale del FringeMI 2023, già vincitore del Premio PimOff per il teatro contemporaneo 2021. In questo libero adattamento del Re Lear di Shakespeare, Chiara Fenizi e Julieta Marocco impiegano la prospettiva di due dei personaggi principali dell’opera: Goneril e Regan, figlie del re e spietate cospiratrici al servizio del proprio interesse personale. Le sorelle, tradizionalmente ostili l’una all’altra e mosse da cieca invidia e tenace competitività, riescono in questo spettacolo a riappropriarsi del proprio spazio e della narrazione della loro storia, attraverso un crescendo di violenza e crudeltà che sfocia in iperboliche dichiarazioni di livido risentimento. Ma (ri)salire su un palco, costringe inevitabilmente le due donne a fare i conti con i fantasmi del passato, e in particolare con il fantasma del padre, ucciso nell’opera shakespeariana e qui proposto attraverso sinistri suoni temporaleschi, come una furia maligna che si scaglia contro le figlie e le illumina di una fredda luce blu. Davanti al padre, e davanti alla platea, le sorelle si incolpano a vicenda e rigirano i loro crimini agli spettatori, svelano i propri segreti e impartiscono al pubblico macabre istruzioni su come diventare perfetti omicidi, alternate – o mescolate – a divertenti lezioni di inglese che alleggeriscono la tensione drammatica creando un’atmosfera giocosa dallo humor nero.

E tutto questo è restituito con studiata sincronia. Goneril e Regan dicono le stesse cose, nello stesso momento, con gli stessi movimenti. Si contraddicono, si rassicurano, litigano e si riappacificano l’una con l’altra, arrivando a tratti a sfumare i confini della propria identità individuale e a fondersi in un unico soggetto. Il dialogo diventa monologo o, meglio, soliloquio. Così, nel continuo botta e risposta in cui ciascuna parla per sé, la comunicazione si annulla e la perfetta sincronicità disvela l’incapacità di venire a patti con l’altro, chiunque esso sia: la propria sorella, il defunto padre, il pubblico stesso che viene coinvolto costantemente senza che però gli venga mai lasciato il tempo di reagire.

Fenizi e Marocco – chi sia Goneril e chi Regan non importa, così come non importa all’interno dello spettacolo stesso – ritmano l’atmosfera dello spazio Hug con continue e morbose risate che travolgono il pubblico e lo portano a fare lo stesso, con il gusto distaccato di chi osserva un conflitto che non gli appartiene. In fondo, le figlie del re lottano ciascuna per la propria identità: raggiungibile tuttavia solo attraverso l’atto estremo dell’omicidio, perché solo la cancellazione dell’altro può portare alla propria liberazione e assoluzione. Ma, alla fine, nessuna delle due riesce a fare a meno della nemesi gemella, e così ogni tentato assassinio è vano. Lo spettacolo si chiude nell’irrisolutezza del conflitto, che lascia in potenza infinite possibilità di sviluppo. Goneril e Regan diventano in questo modo simbolo di un’umanità in contrasto, ma che non riesce mai a liberarsi della necessità dell’interazione con l’altro, per quanto sorda e ostile questa possa essere.

Cecilia Burattin, Claudio Favazza


in copertina: foto ufficio stampa

LEI LEAR
una coproduzione di Scarti, Teatro C’Art e Muchas Gracias
di e con Chiara Fenizi e Julieta Marocco
regia André Casaca, Chiara Fenizi e Julieta Marocco

Contenuto scritto nell’ambito dell’osservatorio critico di FringeMI 2023