L’Austria è un paese senza mare. In compenso è ricco di catene montuose. Le montagne hanno servito per tanto tempo l’economia austriaca, fornendo risorse minerarie e energetiche, favorendo la crescita industriale e, concretamente, la costruzione di molte fabbriche. La decrescita industriale degli ultimi cinquant’anni, a vantaggio del terziario e di altri settori economici, ha caratterizzato l’Austria come gran parte d’Europa. Se in molti paesi europei la riqualificazione di alcuni siti industriali in un processo di sviluppo urbano e di gentrificazione ha caratterizzato l’inizio degli anni 2000 e prosegue tutt’ora, non sempre in Austria un vecchio quartiere industriale a ridosso della città viene convertito in palazzi di lusso o torri di banche e assicurazioni. A volte una vecchia industria diventa un teatro. Dove il mare si può almeno sognare.

È il caso dell’ex sede, in un quartiere periferico di Vienna, della Kabel und Drahtwerke, una grande ditta specializzata in cavi elettrici che ha chiuso la produzione nel 1997. Un processo virtuoso che ha coinvolto gli stessi abitanti del quartiere di Meidling ha portato a un progetto di riqualificazione dell’area in ambito di edilizia agevolata e cultura green. Al centro, uno degli spazi più ampi dei vecchi edifici è stato convertito in un centro culturale, il Palais Kabelwerk. Ed è proprio qui che, dopo anni di progetti culturali, è sorto il teatro WERK X. Attivo dal 2014, con una sede anche nel centro di Vienna (Häuserl am Spitz), WERK X si è subito affermato nel panorama teatrale viennese, diventando in pochi anni uno spazio attento alle nuove realtà artistiche performative: la centralità dei temi contemporanei e d’interesse per i cittadini (Il prezzo del denaro è il titolo dell’attuale stagione) e un grande lavoro sulla drammaturgia nazionale e internazionale lo ha subito allontanato dall’immagine di un teatro minore, trasformandolo in uno spazio di ricerca alternativo rispetto ai più tradizionali Burgtheater e Theater in der Josefstadt di Vienna.

Kabelwerk a Vienna (© Kabelwerk Bautraeger GesmbH)

Se nel focus sulla drammaturgia catalana avevamo scelto la Sala Beckett come simbolo di una piccola rivoluzione per la scrittura teatrale in Catalogna e in Spagna, nel WERK X si può rintracciare un fulcro altrettanto importante per riportare al centro la dimensione drammaturgica. Proprio qui, a partire dal 2017, ha trovato una casa e nuovi impulsi il Wiener Wortstätten: fondato nel 2005 dal regista Hans Escher e dal drammaturgo Bernhard Studlar (ancora direttore assieme a Martina Knoll), Wiener Wortstätten è un laboratorio di ricerca creativo per la scena indipendente, incentrato sulla drammaturgia contemporanea nazionale e internazionale e su temi di rilevanza sociale. La sua attenzione per la sperimentazione e la ricerca formale ha permesso ad autori giovanissimi di emergere, presentando e producendo i propri lavori tramite una serie di scambi e azioni virtuosi. Wiener Wortstätten organizza infatti dibattiti pubblici, laboratori, residenze, progetti teatrali e attività di network che hanno al centro la voce autoriale, rafforzando un tessuto di relazioni e sodalizi importanti fra penne austriache, tedesche ed europee. Non a caso è stato il referente principale del progetto Fabulamundi Playwriting Europe di PAV.

Questa isola felice della drammaturgia ci sembra l’esempio più importante e originale di un panorama, quello del teatro austriaco, dove la testualità è da molto tempo ben presente, tanto a livello culturale quanto a livello professionale. Tutto ciò è evidente se pensiamo allo stretto legame con il modello teatrale tedesco e al sistema di finanziamenti, assieme a una tradizione culturale che punta sul teatro come potente mezzo di riflessione e arricchimento culturale e come collante sociale. Il rapporto di costante scambio dei teatri con i territori che abitano è fondamentale ed è nutrito non soltanto dalle economie, ma anzitutto da un successo di pubblico incentrato su una diffusa fiducia nel valore dell’arte teatrale. In questo senso la produzione e lo spazio riservati ai testi teatrali risultano un tassello imprescindibile, riconosciuto e sempre più valorizzato. Basti pensare alle équipe di dramaturg che lavorano in pianta stabile nei teatri e che si occupano di leggere, scovare, tradurre, riadattare drammaturgie nuove, di accoglierle all’interno di stagioni ben strutturate e di porre in dialogo gli autori e le autrici con registi e compagnie.

WERK X a Vienna (© Rene Brunholzl)

Proprio il legame rispetto alla più ampia tradizione tedesca costituisce un’occasione di riflessione per noi dramaturg del Calapranzi: dopo il focus sulla drammaturgia catalana, la nostra attenzione si sposta ora su un paese, l’Austria, che da un certo punto di vista ha qualcosa in comune con la Catalogna: una sorta di minorità ma allo stesso tempo un’eccellenza (in proporzione) rispetto a un’area culturale e teatrale più vasta e “maggioritaria” – la Spagna castigliana nel precedente caso, la Germania in questo. Non è un caso che tra i più grandi drammaturghi di lingua tedesca del secondo Novecento, tolti Rainer Werner Fassbinder (più che drammaturgo, artista a tutto tondo della scena teatrale e cinematografica) e Heiner Müller, siano i premi Nobel Peter Handke e Elfriede Jelinek – ai quali si potrebbe anche aggiungere il più giovane Werner Schwab – ad occupare i posti di maggior rilievo del canone in lingua tedesca dell’ultimo cinquantennio, con cospicui numeri di rappresentazioni nei maggiori teatri. Uno degli intenti di questo nuovo focus è allora quello di verificare se i drammaturghi austriaci della generazione più giovane hanno in qualche modo ereditato questa qualità testuale, se anche loro hanno molto da dire e cosa rende quel molto da dire così importante per la cultura tedesca e europea.

Si pensi, ad esempio, alle parabole di due dei due grandi nomi che abbiamo fatto: Peter Handke e Elfriede Jelinek. Handke dagli anni ‘60 è rappresentato per lo più nei teatri tedeschi; e a partire dagli anni ‘70 non ha nemmeno vissuto stabilmente in Austria (salvo ritornarci per alcuni periodi). In realtà, pur non perdendo mai di vista il teatro, il drammaturgo di Insulti al pubblico (1966) ha nutrito parallelamente la scrittura in prosa, con romanzi di successo come Prima del calcio di rigore (1970) e La donna mancina (1976), ma anche la scrittura per il cinema: ben noto è il sodalizio con Wim Wenders fino al celebre Il cielo sopra Berlino (1987). Se per Handke non possiamo parlare di una vita esclusivamente tedesca, ma piuttosto europea (ha vissuto per molto tempo in Francia), ben diverso è il caso dell’altro premio Nobel: complice l’aspra polemica verso il proprio paese natale, reo di non aver mai affrontato a viso aperto i propri fantasmi anti-semiti, xenofobi e misogini, Elfriede Jelinek è dagli anni ‘80 una delle autrici più rappresentate nei teatri tedeschi. Nonostante i rimproveri alla cultura austriaca dei suoi testi, non ha mai abbandonato del tutto i teatri austriaci, provocando numerose polemiche (tanto nel mondo politico, quanto in quello culturale) in occasioni delle sue rappresentazioni al Burgtheater di Vienna. Da un lato intellettuale e militante del partito comunista austriaco, dall’altro pluripremiata e osannata a livello tedesco e internazionale, Jelinek rappresenta un teatro provocatorio e scomodo, un teatro che fa esplodere ogni minima traccia di aura da salotto borghese e irrompe nella scena socio-politica contemporanea con un femminismo coraggioso e immagini violente, sempre volutamente provocatorie.

Elfriede Jelinek (© epa apa Techt)

La potenza di questa voce, nutrita di una ricerca formale e linguistica di alto spessore filosofico, ci parla per contrasto della sua Austria: un paese dalla cultura novecentesca tanto ricca quanto innovativa (pensatori come Freud, Husserl, Wittgenstein, Popper, Illich, i pittori Klimt, Kokoschka e Schiele, i compositori Mahler, Schönberg, Berg e Ligeti, scrittori e scrittrici come Hermann Broch, Karl Kraus, Robert Musil, Joseph Roth, Arthur Schnitzler fino a Ingeborg Bachmann), che dopo le due guerre mondiali ha dovuto fare i conti con un passato storico-politico a dir poco opprimente. Per questo, a partire dal secondo Novecento, il clima politico e culturale austriaco diventa molto contraddittorio, per certi versi oscuro: da un lato la crescita di un partito socialista costretto a scendere a patti con altri partiti popolari e liberali, dall’altro la recente virata a destra e la crescita di un nuovo nazionalismo anti-europeo. L’attentato nel centro di Vienna del 2020, ad opera di un ragazzo di venti anni simpatizzante dell’ISIS, è l’immagine più recente di questo clima carico di tensioni.

Jelinek pare aver previsto lo scoppio di queste contraddizioni nelle sue denunce per un confronto con l’eredità nazista mai realmente compiuto. Ma i drammaturghi austriaci più giovani come si relazionano con il proprio paese, con l’Europa e con la contemporaneità? Come affrontano quell’intenso rapporto fra linguaggio e realtà che risulta tanto impattante nei testi sulle scene in lingua tedesca? Queste le domande di partenza del nuovo focus, che affronteremo durante le letture di alcuni dei testi più significativi degli ultimi vent’anni.

Tra le voci che saranno affrontate, una sarà oggetto di un particolare approfondimento. L’attenzione non poteva non cadere sul drammaturgo che pare fra i più attenti alla nuova testualità austriaca: quel Bernhard Studlar a capo del progetto Wiener Worstaetten con sede a WERK X. I suoi testi hanno calcato palchi famosi e istituzionali come il Burgtheater di Vienna e vari teatri viennesi attenti alla drammaturgia (dallo Schauspielhaus fino al Rabenhof Theater). Nonostante il legame con Vienna, come per la maggioranza dei suoi colleghi, è stato messo in scena nelle maggiori città tedesche. Proprio per esplorare questo rapporto complesso con la “madrepatria culturale”, nel focus sarà presente un’autrice di nazionalità austriaca ma che con l’Austria ha poco a che fare a livello artistico: Maxi Obexer, nata al confine italiano e rappresentata per lo più in Germania. Gli altri due autori hanno meno di 35 anni, ma grazie a un sistema teatrale e culturale che li sta premiando e sostenendo si stanno affermando in entrambi i paesi di lingua tedesca: Miroslava Svolikova e Thomas Köck. Entrambi ci danno l’occasione di parlare di un’altra città-polo per la drammaturgia contemporanea austriaca: Graz. La città – a cui fra l’altro anche Peter Handke è culturalmente legato – ospita all’interno dello Schauspielhaus un grande festival della drammaturgia, il Dramatiker Innenfestival. Ad esso è affiancato il Dramatiker Innenkub, un laboratorio permanente di drammaturgia, e altre azioni organizzate dallo stiriano Drama Forum.

Dramatiker Innenfestival Graz 2019 (© Nikola Milatovic)

Tante altre realtà e teatri si sarebbero potuti nominare per l’Austria (come ad esempio i viennesi Theater Nestroyhof/Hamakon e Kosmos Theater, concentrati su tematiche sociali come razzismo e disparità di genere) per descrivere un clima istituzionale, culturale ed economico molto più accogliente nei confronti delle nuove scritture rispetto a quello italiano. Ma non si deve pensare che questa ricchezza drammaturgica sia solo frutto di una tradizione nazionale: è la prospettiva internazionale e l’approfondimento di tematiche europee e contemporanee che ci fanno guardare con grande interesse a queste “fabbriche austriache”. L’intento di Calapranzi, insomma, rimarrà immutato: aprire nuove varchi alla cultura drammaturgica, così diffusa oltre i nostri confini, ed esplorare nuovi modi per interrogare il mondo attraverso il teatro.

Prima di cominciare il viaggio fra monti e fabbriche austriache, e per prolungare quest’ultimo intento, siamo molto felici di annunciare l’avvio della collana Calapranzi, presso l’editore Nowhere books: la comune passione per un teatro (anche) da leggere e (soprattutto) da scoprire, sarà indirizzata nello sforzo di pubblicare i migliori testi affrontati dalla redazione.

Riccardo Corcione


Foto di copertina: © Alexander Gotter