L’Attrezzeria Negroni, per la quarta edizione del Fringe milanese, ospita lo spettacolo Il paese delle facce gonfie, di Paolo Bignami. L’attore Stefano Panzeri, Poldo in questa storia, ha come camerino l’opificio, dove macchinari e utensili lo nascondono al pubblico che si sta per accomodare in attesa di ascoltare ciò che presto sarà narrato. 

Sin dalle prime parole si torna con insistenza sul protrarsi delle attese: ai “mentre” dei bambini che passano il pomeriggio ad aspettare sotto una finestra e degli operai che persistono nel fare picchetto, agli “ancora” delle normalità interrotte, che continuano a fare i conti con i disastri ambientali di uno ieri diuturno. In questo tempo perennemente incompleto, sospeso tra il non vissuto e l’irrimediabile, gli scorci di esistenze nello spettacolo si agglutinano in un flusso monologato, incarnando la tragedia di un’intera comunità. Poldo, vestito con tuta blu, berretto e giacca, è un individuo ingenuo, senza età, che parla della vita da operaio nella maniera trasognata di un bambino. Accanto a lui scorre un contesto di provincia anonimo: sappiamo che si tratta di Seveso, della sua fabbrica, anche se non verrà mai nominata esplicitamente – quasi a rimarcare che questa sia una storia che non ha luogo, che è destinata a ripetersi.

Occupano la scena due soli oggetti concreti: un pallone da calcio e un piccolo frigo portatile. Poldo però non è solo: attraverso i ricordi, le parole e la musica anima intorno a sé molti altri amici e compagni. Ecco che le vite della Giusi, dell’Armando, di Diego e di Olivia entrano in scena come se fossimo in uno di quei racconti corali testoriani, il cui accorato inno in nome degli ultimi dona finalmente voce a coloro che non l’hanno mai avuta. Man mano che la drammaturgia si evolve attraverso un impasto di salti temporali – trattando di un prima e di un dopo che faticano a guardare a un evento centrale, oscuro – ci si affeziona a queste figure, nonostante vengano osservate nel distacco di una nostalgia ambigua. Il collegamento – e punto di fuga – in questa atemporalità è l’immaginario di Poldo e la sua irrefrenabile ingenuità, che spazia dalle nuvole a forma di uomini che suonano la tromba ai flipper, alle figurine dei calciatori, fino alle tenere riflessioni sul se sia meglio lavorare in fabbrica o nei campi di pomodori (anche se la seconda scelta è sicuramente migliore perché «almeno quelli sono buoni»).

Ogni immagine è una memoria tersa di amarezza. Ma è una fiaba che dura ben poco, a cui si viene prepotentemente strappati quando la voce immaginativa del bambino cede il posto a quella dell’uomo. E quando Poldo deve tener conto degli orrori che la fuoriuscita di diossina ha lasciato sulla pelle degli operai, subito fugge via per tornare alla semplicità delle nuvole, quella che interpreta un dolore altrimenti inesprimibile. Si sfugge così al reale: i morti per la fabbrica si fanno palloncini che mal sopportano le regole della gravità, preferendo evadere nel cielo delle pareidolie di Poldo. 

La fabbrica, da grande incubatrice, proliferante a distruttrice, di colpo cambia volto. Il sogno è infranto e non rimangono altro che erba secca, foglie gialle e morti da ricordare. Il pubblico, commosso, si guarda intorno, vede le suggestive macchine dell’opificio e non può non sentirsi coinvolto e vicino al racconto. Nonostante l’assenza di riferimenti espliciti, la storia è tra noi. Quando gli applausi arrivano scroscianti, quasi a tagliare l’ultima battuta del testo, l’attore si sveste del suo personaggio e fuori dall’Attrezzeria chiacchiera con amici e spettatori. Ci saluta con l’augurio che questo spettacolo possa «ricordare e portare gli uomini a fare meglio di come è già stato fatto».

Leonardo Ravioli, Francesca Rigato


IL PAESE DELLE FACCE GONFIE
di Paolo Bignami
con Stefano Panzeri
dramaturg Chiara Boscaro
regia Marco Di Stefano
assistente alla regia Cristina Campochiaro
responsabile tecnico Enzo Biscardi
un progetto La Confraternita del Chianti
una produzione Associazione Interdisciplinare delle Arti
con il sostegno del MIBACT
con il sostegno di Teatro In folio/Residenza Carte Vive
testo vincitore del Mario Fratti Award 2017 (New York, USA)

contenuto scritto nell’ambito dell’osservatorio critico di FringeMI 2022