di Zaches Teatro

visto al Pim Off di Milano _ 15-16 gennaio 2011

Che peccato quando la magia della “quarta parete” viene infranta dal (pre) giudizio. E che disagio se, sulla sospensione dell’incredulità, agiscono disturbanti resistenze. Che peccato davvero quando, oltre quel muro invisibile tra pubblico e rappresentazione, è il sacrificio attorale stesso a chiedere di sospendere le facoltà critiche, e invece accade che la partenza stessa fatichi ad imporsi per mancanza di attenzione ed eleganza rituale…

Ciononostante il teatro vince. E così anche il 15 gennaio al Pim Off, che già di suo chiede grande dedizione all’utente teatrale, giacché bisogna proprio volerci andare, mettersi in cammino verso quei quaranta minuti di performance cui vale sempre la complessità di attendere. Occasione, la prima delle due repliche di Faustus! Faustus!, orchestrale realizzazione della giovane compagnia fiorentina Zaches Teatro.
L’esclamazione è prima di tutto una domanda, e suona come un “…ma chi? Faustus? Il dottore?”, poi però prevale l’asserzione nella meraviglia del “Sì!”, anche se non completamente integro. L’alter ego goethiano, quello della prima parte della tragedia, pre-rinascimentale a dire il vero, concede frammenti della sua identità a miti diversi: da un generico Frankestein più intenzionalmente biomeccanico di quanto non sia in effetti, al Maharal di una certa città ungherese che potrebbe anche essere un altrove ancora a venire. Eppure, non riesce a non prevalere il carattere di dotto artigiano del sapere, meticolosamente curato, oltre la maschera, da Samuele Mariotti, che lo fa calcare con passi pensati il suolo dell’alchemica bottega.
Le mani, chiave semantica di questo spettacolo, cercano la definizione di homo artifex. Ed è infatti attorno al tavolo di lavoro che, con altrettanta precisione, si muove l’assistente alla scommessa: quel “povero diavolo” più umano che mefistofelico, interpretato con lucidità da Luana Gramegna, qui anche responsabile della regia.
L’atmosfera emotiva, entro cui sostare senza coordinate narrative, è lì, pronta per essere calibrata da chi la condivide sulle sue proprie tonalità esistenziali. La melodia è individuale, e ciascuno la trova accettando di affidarsi alle luci, accecanti o brumose, e ai suoni, taglienti, quasi techno, ma mai assordanti. Ecco, dunque, le due memorabili scene della demiurgica costruzione di un inedito Golem-Homunculus: quasi divertente il primo, immaginato, tentativo, il cui esito è fallimentare, per mancanza di cuore, e inquietante, reale, quasi horror, il secondo, riuscito esperimento. E poi, ancora, la processione della vittoria-sconfitta: il dottor Franken-Faustus, che ha perso la sua anima-specchio in una partita a dadi, ma che da un dado-Madre vede nascere al fine la sua “amata-creatura”: interpretata egregiamente da Francesca Valeri, è la versione puppet di Gretchen, inconsapevole agente di un destino imprevedibile, per sé e per il suo creatore.

Paola Teresa Grassi