di Sarah Kane

uno studio di Milvia Marigliano

Visto al Teatro della Cooperativa di Milano_27-30 Aprile

Phaedra’s Love (L’amore di Fedra
, 1996) è il secondo dei cinque drammi scritti da Sarah Kane, giovane stella del teatro inglese dalla parabola tragica e fulminea: debutta nel 1995 con Blasted (Dannati) e muore suicida a soli ventotto anni, impiccandosi, il 20 febbraio del 1999. Questa sorte tragica l’accomuna a diverse eroine greche inclusa Fedra, protagonista del dramma in questione: una libera riscrittura dell’Ippolito di Euripide (428 a.C.) dove la moglie del re Teseo muore suicida a causa del suo amore incestuoso per il figliastro Ippolito.
E se già nell’antica Atene il dramma suscitò scandalo per il modo esplicito di trattare l’incesto (tanto che Euripide dovette riscriverlo in versione più ‘pudica’), la Kane letteralmente sguazza nel tema scabroso calcando la mano: non solo Fedra, ma anche sua figlia Strofe e molti altri – uomini e donne, perfino un prete – hanno rapporti sessuali con Ippolito. Il giovane principe, che nell’originale sdegna Afrodite e per questo viene punito, qui non ricambia l’amore di Fedra né di altri, ma si concede al sesso occasionale e si masturba senza soddisfazione. Per il resto passa le sue giornate in un ozio annoiato che ricorda il personaggio letterario di Oblomov o il fenomeno giapponese dell’otaku: intrappolato nella sua apatia, per nulla tragica a dire il vero, non fa nulla per sottrarsi alle passioni incestuose delle donne di famiglia, né al destino tragico che ne consegue.

Questa caratterizzazione (come gli altri aspetti scabrosi del testo e il linguaggio molto esplicito, tipici del filone britannico cosiddetto “in yer face”) può facilmente sorprendere e anche scandalizzare chi non conosca il teatro di Sarah Kane: ma anche chi arriva ben preparato può trovare spunti inediti e originali nella versione che Milvia Marigliano porta in scena al Teatro della Cooperativa e interpreta – nelle vesti di Fedra – affiancata da quattro giovani attori.
Si tratta a mio avviso di uno spettacolo riuscito e compiuto, benché si presenti in cartellone come “studio”: anzi, la scelta di leggere le didascalie del dramma a mo’ di commento all’azione – anziché farle tradurre in gesti – asciuga e alleggerisce il testo, restituendogli nuovo smalto e un bel ritmo, e soprattutto privandolo di certi eccessi che destarono scandalo al debutto, come si diceva, ma oggi appaiono superati e perfino stucchevoli (come l’insistenza sull’ozio onanistico di Ippolito, nella prima parte, e in seguito le sue esternazioni durante la prigionia e prima della morte finale).
La brava Milvia Marigliano è perfetta per il ruolo di Fedra, e anche gli altri attori sono bene affiatati. Funzionale e minimalista la scena (un tavolo-obitorio a cui siedono i protagonisti, nella prima parte del dramma, e che nella metà inferiore fa da feretro a Fedra dopo il suicidio). Azzeccata anche la scelta di sottolineare i momenti salienti con le musiche del gruppo post-punk inglese dei Joy Division, da cui traspare evidente la depressione che affligge il cantante e leader carismatico Ian Curtis (peraltro accomunato alla Kane dal prematuro suicidio, il 18 maggio 1980 a soli 23 anni).
E per associazione d’idee mi viene in mente un altro gruppo punk inglese, i Sex Pistols, il cui secondo singolo God Save the Queen turbò nel 1977 il Giubileo d’Argento di Elisabetta I: la stessa monarchia che la Kane prende di mira con questo testo (nei ripetuti attacchi alla casata regale di Atene, incestuosa e ipocrita) e che proprio oggi – mentre vediamo Fedra a teatro – cerca di rifarsi il look coi volti nuovi dei giovani sposi William e Kate.

Martina Treu