Qualche anno fa un politico italiano consigliava agli anziani, per sopravvivere al caldo, di passare la giornata nella frescura dei supermercati. In Grecia, nonostante le difficoltà, il rifugio diventa il teatro. Lo dicono le cifre di affluenza agli spettacoli estivi, a pieno ritmo ovunque. Ma lo conferma anche una lodevole iniziativa promossa dal maggiore teatro di Salonicco (Teatro Statale della Grecia del Nord) che, nel primo torrido weekend di luglio – si sono sfiorati i 42 gradi – ha ospitato nelle sue sale dotate di aria condizionata il pubblico accaldato, con accesso gratis agli spettacoli in cartellone.
Appuntamento attesissimo, il Festival Atene-Epidauro si presenta in una veste rinnovata pur confermando come direttore il regista Vanghelis Theodoròpoulos. E lo fa anzitutto grazie a un’ inedita “Apertura sulla città”: performances, drammaturgie site specific e itineranti, interventi di collettivi che si impegnano nella riscoperta del centro urbano, e azioni “fuori le mura”, nelle zone del Pireo e di Eleusi. Uno slogan accomuna questa vivace e corposa iniziativa: “Gettiamo ponti fra le differenze”. L’idea è di instaurare un dialogo, ricreare una comunità-polis capace di ripensare se stessa e di accettare le proprie diversità di urban approach(su base economica, di genere, nazionalità, religione,) e di viverle come ricchezza. L’altra novità del Festival è infatti la ricerca di un filo rosso comune. E quest’anno il tema senz’altro più scottante, per la Grecia ma non solo, è la riflessione sull’Altro, il diverso e lo straniero. Come rendere subito palpabile questa tematica? Ci ha pensato con originalità la famosa designer Ifigenia Vasiliou, che ha scelto per le locandine e i manifesti tre creature fantastiche della mitologia, rese se possibile ancora più stranianti: una Sfinge leopardata, un Minotauro zebrato e un Pegaso alato a pois. Ibridi dell’immaginario antico, con “macchie” accentuate di diversità, a indicare il peso dei pregiudizi di oggi.
In questa direzione va anche l’apprezzata installazione dell’artista sudafricano William Kentridge. Sul viale Dionisiou Areopagitou, che costeggia l’Acropoli, ogni sera (per quindici minuti e poi in modalità loop) appare una proiezione che si sviluppa per quaranta metri, dal titolo More sweetly play the dance, da un verso di Paul Celan. In una sorta di replica contemporanea del fregio del Partenone, Kentridge mostra un susseguirsi di ombre, ricavate da una tecnica particolare che mescola animazioni e riprese reali. Se sull’antico tempio erano ritratti i cittadini in processione durante le feste Panatenaiche, oggi invece la processione infinita è quella delle migrazioni di popoli che si muovono verso un domani insicuro. Su note dal sapore africano, il rullo icastico si srotola per mostrare sequenze di ombre in perenne movimento, nella vertiginosa danza della vita. Ci sono i politici senza scrupoli, gli sciamani che cercano di esorcizzare il male, malati e mutilati con le loro protesi, migranti con pesanti fardelli in spalla, una ballerina che imbraccia un fucile, ma c’è posto anche per una colomba, simbolo forse di speranza.
Il programma teatrale è come sempre molto ricco. Fra gli stranieri, si segnala un omaggio alla Volskbühne, l’applauditissimo lavoro di Bob Wilson con il ballerino Michail Baryshnikov (Letter to a man, tratto dai diari del danzatore Nijinsky), Romeo Castellucci (Democracy in America), Milo Rau (Empire), i Forced Entertainment (Table Top Shakespeare), ma anche il francese Julien Gosselin con Si vous pouviez lécher mon coeur (da Le particelle elementari di Michel Houellebecq), una riflessione sulla sessualità in Occidente, e ancora, la polacca Marta Gornicka, l’iraniana Afsaneh Mahian.
Le rappresentazioni del dramma antico a Epidauro – che si raccolgono sotto il titolo di “L’arrivo dello straniero” – si sono inaugurate con uno ‘spettacolo bis’, i Sette a Tebe già presentati lo scorso anno, per la regia di Cezaris Grauzinis. Si tratta di un’eccezione nella ritualità del festival greco, che certo va incontro al gusto del pubblico come dimostra la tournée trionfale del 2016 e i ben novemila spettatori che si registrano in queste due serate inaugurali del 2017. È un riconoscimento al regista lituano, che è riuscito in un’impresa incredibile: rendere “popolare” una fra le tragedie di Eschilo più difficili. La scelta però di ripresentare un successo del 2016 va intesa anche nella sua collocazione: è lo spettacolo di entrée, quindi manifesto inaugurale e chiave interpretativa del Festival. In primis la commozione per le memorie antiche capaci di risvegliare fantasmi recenti come la ferita della guerra civile (1945-1949). Ciò che colpisce è l’atmosfera pesante di assedio, la sensazione che il barbaro è alle porte. E proprio sfruttando il timore dell’apocalisse, ecco che l’abile politico (Eteocle) riesce a tessere la sua tela di retorica e a manipolare il popolo, facendogli credere che la guerra è necessaria per difendere la civiltà, per distruggere l’Altro, il Mostro. Eppure l’invenzione politica del nemico si inceppa, perché alla Settima Porta è schierato il fratello del re, con un volto identico al suo. Proprio a sottolineare questa tragicità, Grauzinis decide, al contrario di Eschilo, di mostrare i due fratelli in scena, creando un’immagine poetica e potente (come già segnalavamo), quella del duello silenzioso e a mani nude fra Eteocle e Polinice, che si conclude in un abbraccio, un gesto emblematico che tenta, almeno dal lato drammaturgico, di esorcizzare lo spirito fratricida. Perché proprio quando siamo pronti ad annientarlo, l’Altro si rivela lo specchio di noi stessi: era il gemello Polinice allora, oggi è il fratello siriano o afghano, carico delle sue storie di miseria e disperazione, che tanto somigliano alle altre tragedie del Novecento.
Gilda Tentorio
More sweetly play the dance
di William Kentridge
Visto ad Atene_31 maggio – 5 luglio 2017
Sette a Tebe
da Eschilo
regia di Cesaris Grauzinis
Visto ad Epidauro_30 giugno – 1 luglio 2017