Qualche tempo fa, quando ancora si agitava lo spettro della ‘Grexit’, la narrazione mediatica si è servita anche della figura mitica di Ifigenia per illustrare il destino di una Grecia “sacrificata” sull’altare dell’Europa. Come risuona oggi in Grecia la parola “sacrificio”? L’estate teatrale greca 2017 ha offerto un triplice volto di Ifigenia: “monumento” che si scioglie nella scoperta dell’umanità, guida alle storie di sacrificio contemporaneo e stimolo per riflettere sulle ferite del Novecento.

Un’interessante Ifigenia in Aulide ha viaggiato in lungo e in largo per la Grecia (ma fuori dal Festival) e ha avuto consacrazione finale all’Herodion ai piedi dell’Acropoli il 12 settembre. Protagonisti, una terna di attori talentuosi: Emilios Chilakis (che è anche regista, insieme a Manolis Dounias), Athinà Maximou e la giovane Lena Papaligoura (vista a Milano nel 2013 in Odyssey e in Lo Straniero). Lo scorso anno erano insieme nella Lisistrata fuori dagli schemi che ha segnato la storia di Epidauro (qui la recensione), ora a unirli è la voce di Euripide.

Per Chilakis la vera avanguardia oggi si manifesta nella narrazione, e il dramma attico ne è serbatoio inesauribile. Ma come liberare l’energia del “dire una storia”? Occorre spezzare l’equazione “un attore= un ruolo”,  in favore diuna concentrazione sui personaggi che sia “orizzontale” e condivisa – sostiene Chilakis su “Eleftheria online” (3.07.2017) evitando così la gabbia di uno studio unitario che spesso diventa ossessione e sfoggio narcisistico. E infatti sul palco della sua Ifigenia, accanto a un coro femminile, accompagnato in scena dalle melodie nostalgiche di una fisarmonica, ci sono soltanto tre attori, come nella tradizione antica. Ognuno ha due ruoli, spesso agli antipodi: Papaligoura è la dolce Ifigenia e anche il Vecchio arrochito e piegato dagli anni; Maximou, la Clitemnestra spezzata dal dolore, diventa anche l’arrivista Menelao; Chilakis interpreta Agamennone e Achille, volutamente tratteggiatocome un bellimbusto ridicolo. I tre attori, dai volti coperti di biacca, sono in piedi su cassoni mobili,  spostatidal Coro. Parlano, gesticolano con enfasi, e poi ritornano nel gelo dell’immobilità, come statue, personaggi paradigmatici e monumenti di se stessi. Restano distanti, ognuno nella sua “isola” di egoismo: si incontreranno nel punto culminante della storia, quando sembrano ritrovare un barlume di umanità e di affetto. Soltanto Ifigenia abbandonerà il piedistallo, muovendo leggera verso la morte. Il pubblico è attento e silenzioso e coglie la sferza di Euripide contro il vuoto della politica, la retorica della patria e del sacrificio, come monito per l’oggi. Le parole finali spettano a Ifigenia: si può accettare tutto, essere costretti a grandi sacrifici, ma non si deve rinunciare alla propria umanità. La speranza – dice – può venire da uno sguardo “sull’Altro”, per costruire nuove prospettive.

Aprire la tragedia a nuovi sguardi è l’intento di Konstantinos Michos che, nella sezione “Gettiamo ponti fra le differenze”, ha presentato al Festival la performance Ifigenia in… Appuntamento a Perama: accanto al porto dei traghetti per l’isola di Salamina, ci sono i cantieri navali, oggi dall’aspetto un po’ spettrale, perché la crisi qui ha colpito duro. Sul maxi-schermo viene proiettato il monologo di Ifigenia dal film di Michalis Kakoghiannis (1977) e la stessa attrice, Tatiana Papamoschou, allora giovanissima, è ora parte di questo spettacolo itinerante, che ha profondamente commosso il pubblico ateniese. Attori (professionisti e non) ci raccontano le loro storie [di portuali?]: incidenti, cadute, corpi smembrati dalle macchine, ferite inguaribili di un mondo invisibile ai più. Le storie si intrecciano ai monologhi di Euripide, che qui risuona di nuovi sensi: la guerra è la lotta per la sopravvivenza quotidiana, il viaggio per cui si preparano le navi è la prospettiva del guadagno. L’Ifigenia contemporanea di Michos è una folla di personaggi anonimi che sacrificano la loro vita, e il cantiere di Perama è la nuova Aulide, bloccato nella ruggine, in attesa di una rinascita, forse, con i nuovi padroni, i finanzieri cinesi che qui hanno comprato tutto. E già si profilano nuovi sacrifici perché altre flotte possano salpare.

Infine è ancora un luogo che catalizza l’attenzione della compagnia greco-cipriota Fantastikò Theatro e della sua versione della tragedia euripidea. Per capire la portata di questo esperimento, occorre ripercorrere in rapida sintesi la storia di Cipro del Novecento: ex-protettorato britannico, nel 1960 l’isola ottiene l’indipendenza; seguono aspri conflitti tra le comunità greche e turche. Nel 1974, in risposta al tentativo da parte del regime dei Colonnelli in Grecia di annettere l’isola, scatta l’Operazione Attila, l’invasione militare della Turchia nella parte Nord-orientale dell’isola, con espropri forzati e massacri. Si formano due Stati (repubblica turca e repubblica greca) e l’Onu traccia la Green Line, una lunga cicatrice che divide l’isola a metà. Da qualche anno è cominciato il disgelo e soprattutto in ambito culturale le collaborazioni fra le due comunità sono sempre più numerose. Resta però viva la ferita della memoria, in particolare a Nicosia (Lefkosia), capitale della parte greca, che conserva inciso nella propria topografia il dramma della Storia: nel cuore del centro storico, barriere, fili spinati, casupole di controllo, check-point e soldati armati. Nella buffer zone, chiamata dai Greci “zona morta”, ci sono gli edifici di una città-fantasma, come congelata nel tempo: automobili arrugginite, case e negozi che crollano. Al di là, la città turca, con minareti e moschee.

È in questa atmosfera gravida di storia che la regista Magdalena Zira ha voluto ambientare la sua Ifigenia: “Lungo la linea che divide la nostra città, come pure in Aulide, il tempo si è fermato e il tema della memoria diventa cruciale” (così dalle note di regia). Nella tragedia euripidea la flotta greca è intrappolata in un porto dove si raggrumano desideri, memorie e ossessioni, fra un passato sempre più opaco e un futuro incerto. A Nicosia, sotto il muro sormontato da filo spinato, Aulide può diventare luogo liminare, per un gioco sull’ambiguità: Ifigenia è viva o morta, ha accettato volontariamente il sacrificio o è stata costretta? E più in generale: come sono andati i fatti della Storia e chi controlla la “verità” della narrazione? Quanto siamo disposti ad accettare che la memoria incancrenisca in miti ideologici?

Gilda Tentorio