Inauguriamo la pagina di osservatorio sulla Grecia con una panoramica sul Festival Atene-Epidauro appena concluso. L’appuntamento ha visto, fra le produzioni straniere, il debutto greco di Luc Bondy e Angélica Liddell, ma soprattutto è stato un momento di confronto e analisi sulle tendenze e prospettive del teatro nazionale attraverso una trentina di produzioni.
L’attualità, con il suo carico di disperazione, risuona in molte opere; Nella colonia penale di Savvas Stroumbos da Kafka, per esempio, evoca simbolicamente il senso di paralisi, solitudine e prigionia di un’intera società in balìa di una crisi economica e di valori. Mentre si alzano muri reali e metaforici, calpestare l’altro sembra l’unico modo sicuro per sopravvivere. A questo panorama crudo e amaro Thodorìs Gonis ha risposto con Il dolore dei disoccupati e il diritto alla pigrizia, spettacolo-mosaico di interviste e testi classici (da Stevenson a Lafargue) con spunti tragici e comici, per indicare una via alternativa alla disperazione: l’uomo deve riscoprire la propria umanità, a prescindere dall’attività (o inattività) professionale.

Un nucleo tematico importante si è sviluppato intorno al tema del sacrificio, di sé e dell’altro. La regista Katerina Evanghelatou ha raccolto la sfida di un testo splendido ma difficile, l’Idomeneo (2008) del tedesco Ronald Schimmelpfennig, una destrutturazione post-moderna del mito, che viene frammentato, paralizzato e capovolto in una rifrazione continua di varianti e colpi di scena. Due enormi cumuli di sabbia occupano il grande spazio teatrale, una scena mobile su cui gli attori si arrampicano, sprofondano, rotolano. L’eroe reduce da Troia, in balìa di una terribile tempesta, pur di aver salva la vita giura di sacrificare agli dèi il primo essere vivente che incontrerà sulla terraferma e la sorte beffarda gli invia suo figlio. Che cosa farà allora Idomeneo? Il mito rende lecite tutte le varianti, non esiste una narrazione più vera di un altra, tutto può essere accaduto. E si innesca la riflessione politica: fino a che punto l’uomo è disposto a spingersi per la sua salvezza, a scapito dell’altro?

Una prospettiva analoga ma particolarissima era analizzata da Skrow Theater (compagnia attiva dal 2012), fra le rivelazioni della stagione: Immolarsi intende tracciare una “storia” del concetto di sacrificio, da parte di eroi che hanno scelto la via dell’abnegazione assoluta in nome di fortissimi ideali. Una “colonna sonora del sacrificio” mette in azione l’intreccio delle storie, con momenti comici e punte tragiche. Al centro è l’individuo, ma la riflessione è su scala globale: da Giovanna d’Arco ai kamikaze giapponesi, e poi i torturati nello stadio di Santiago del Cile, gli operai che sventarono una seconda e definitiva esplosione a Chernobyl. Eppure gli eroi che spesso abbiamo imbalsamato nel pantheon della memoria erano individui come noi, anch’essi amavano il gelato alla fragola o prendevano il caffè appena alzati, e chissà quale è stato il loro ultimo pensiero prima di morire. Quale fu la potentissima spinta che li ha guidati nel sacrificio? Come sarebbe il nostro mondo se loro avessero scelto invece di garantire l’integrità del proprio io? E oggi esistono ancora persone capaci di sacrificarsi in nome di un’idea?

Forte anche l’interesse per le contaminazioni tra letteratura, teatro e cinema. Si sono visti in scena gli amatissimi romanzi La Papessa Giovanna di I.Roidis (1866 – reg. Dimitris Mavrikios) e La grande Chimera di Karagatsis (1936), quest’ultimo per la regia di Dimitris Tarlow, nipote dello scrittore: entrambi spettacoli ibridi, che alla resa teatrale viva hanno associato frammenti video, sfumando quindi i contorni realistici per sdoppiare temi e figure in una dimensione effimera e simbolica.
Un classico del teatro molto caro in Grecia è Nozze di sangue di Lorca (1932), che Lena Kitsopoulou, enfant terrible del teatro contemporaneo e maestra delle provocazioni, ha voluto rivisitare a suo modo: una sfida alla tradizione e allo stesso tempo una denuncia all’ipocrisia e al provincialismo, attraverso un iper-realismo parodico e grottesco che ha suscitato un vespaio di polemiche.
Per la prima volta il festival ha avuto una “coda” a settembre, con le repliche sold out di alcuni spettacoli. A grande richiesta è ritornato il Filottete di Kostas Filìppoglou. I personaggi sofoclei salgono e scendono da travi basculanti, simbolo di una scelta combattuta fra due estremi (l’utile / il giusto) e forse di un paese che si sente in bilico sull’orlo di un abisso, un’immagine che può rappresentare icasticamente la Grecia. Le sofferenze di Filottete in una solitudine-esclusione forzata, i dubbi di Neottolemo a fronte della logica di Odisseo, parlano in modo diretto all’oggi: da Troia alla troika il passo è breve, anche quando la prospettiva si rovescia (da vincitori a sconfitti).

Gilda Tentorio

 

Questo contenuto fa parte di “Sguardi sulla Grecia”.
Un progetto a cura di Gilda Tentorio.