Incontro, partecipazione, condivisione: parole ricorrenti nei festival disseminati in tutta la Penisola, sempre più orientati verso una funzione pubblica e sociale, all’insegna di un dialogo costante col territorio. Proprio la volontà di confrontarsi con la cittadinanza ha guidato due formazioni artistiche pugliesi – Factory Compagnia Transadriatica e Principio Attivo Teatro – che nel 2015 hanno dato vita alla rassegna salentina “I teatri della Cupa”. Nei piccoli centri di Novoli, Campi Salentina e Trepuzzi, il coinvolgimento degli abitanti ambisce a sollecitare la creazione di una comunità, intesa in una duplice accezione: da una parte una platea di spettatori, dall’altra un territorio unito oltre la mera vicinanza geografica, stretto attorno alla comune esperienza del teatro.

Sono due questioni emerse con forza durante la prima delle tre “assemblee della parola”, un ciclo di incontri in cui direttori artistici, operatori e critici hanno avuto modo di confrontarsi: come connettere cittadini e teatranti? Ma soprattutto: è uno sforzo indispensabile?

Massimiliano Civica ha infatti lanciato una provocazione, rivendicando la libertà di sottrarsi all’obbligo della dimensione collettiva: nonostante i proclami e le buone intenzioni, ogni festival corre il rischio di strumentalizzare il contesto in cui opera pur di accendere i riflettori. Se la relazione con la comunità non si realizza in modo costante, con investimenti duraturi, si può parlare solo di una “foglia di fico”: sembrerebbe allora più coerente – continua il regista – “disinteressarsi” del dialogo col territorio e concentrarsi esclusivamente sui processi creativi.

D’altro canto Civica proprio in Parole imbrogliate, spettacolo proposto al festival pugliese, insiste sul coinvolgimento del pubblico, inteso come elemento costitutivo dell’impianto drammaturgico e non come facile trovata. Lo spettacolo dedicato a Eduardo De Filippo (qui la recensione pubblicata su Stratagemmi) approdato a “I teatri della Cupa”, si fonda sulla condivisione: gli aneddoti riguardanti il celebre drammaturgo napoletano vengono proposti come se si trattasse di una conferenza e l’atmosfera ricorda un altro luogo di incontro e di scambio, la scuola. Nella classe-platea di Parole imbrogliate, il professore-attore conduce il gioco ma tradisce il suo bisogno di dialogo, richiamando l’attenzione e l’interazione degli spettatori: “dov’ero rimasto?”, “perché ho aperto questa parentesi?”, “ti ricordi il nome del personaggio?”, chiede Civica quando si perde nel flusso dei suoi racconti. Le domande sono spontanee, non sembrano seguire un copione prestabilito: lo dimostrano lo sguardo diretto verso gli astanti, i secondi di silenzio concessi ai commenti più o meno sussurrati tra i vicini di sedia, la naturalezza con cui le risposte ricevute divengono un nuovo punto di partenza.

Il caso di Parole imbrogliate è un buon esempio di come uno spettacolo possa incidere sull’attitudine alla partecipazione e sollecitare la nascita di un legame tra gli spettatori. La timidezza del pubblico sfuma in un’embrionale forma di complicità, anche grazie al ritratto chiaroscuro – e talvolta sarcastico – dedicato a Eduardo: le risate allentano ogni reciproca diffidenza e predispongono a familiarizzare con chi siede accanto, gli estranei in platea confabulano tra loro prima di rispondere alle sollecitazioni dell’attore, lo scambio di opinioni prosegue a margine dello spettacolo.
È un legame certamente ancora fragile e provvisorio, eppure un primo passo per consolidare il sentimento di comunità in senso più ampio. Anche su queste esperienze di breve durata, fugaci per la natura stessa del teatro, si possono incardinare i progetti di lunghe vedute.

Ecco, allora, che il dibattito innescato dalla provocazione di Civica trova risposta in una consapevolezza: ogni festival deve configurarsi come presupposto per alimentare il lavoro duraturo sul territorio, in modo da trainare la programmazione delle stagioni teatrali e i momenti di formazione portati avanti quotidianamente. L’auspicio con cui si scioglie l’“assemblea della parola” è che tale sinergia possa trasformare il binomio “teatro e comunità” a “teatro è comunità”.

Nadia Brigandì