Come spesso accade, assistere o partecipare allo spettacolo di una compagnia teatrale significa entrare in contatto con le sue specificità sceniche che, in qualche modo, diventano “indicatori” del singolare percorso creativo tracciato dagli artisti. Gli spettatori attraversano inevitabilmente i segni più o meno visibili di un certo procedere scenico, magari incuriositi, perplessi, stupiti o alla ricerca di maggiori indizi su quanto visto e sperimentato. Nasce così il tempo delle domande: qual è il percorso artistico di una compagnia? In che misura la sua storia incide sulla proposta scenica? E in quale modo il percorso creativo di un gruppo può orientare il pubblico quando quest’ultimo si trova per la prima volta a confrontarsi con una loro creazione artistica?
Il “Focus Catalogna” proposto da Zona K, progetto ambizioso e volto a scandagliare un territorio fiorente come quello artistico catalano, offre la possibilità di riflettere su questi interrogativi, tendendo lo sguardo a percorsi artistici fatti di possibilità, di incroci e di cambi di prospettive. Se poi, alla parola Catalogna si aggiunge il nome di un gruppo, quello di FFF (The Friendly Face of Fascism) diretto da Roger Bernat, le geometrie possibili tra percorsi passati e prospettive recenti e future diventano una delle chiavi di lettura determinanti per conoscere uno dei principali gruppi del teatro partecipativo contemporaneo.
La compagnia FFF/Roger Bernat si sta affacciando sempre più frequentemente sulla scena nazionale del nostro paese: dopo aver presentato Please continue: Hamlet (2012), realizzato in collaborazione con Yan Duyvendak, lo scorso autunno a ZonaK, all’interno del “Focus Svizzera” e dopo la sua recente partecipazione alla Biennale Teatro 2016 di Venezia, il gruppo catalano presenterà, a partire dal weekend prossimo, Domini Públic, per la prima volta a Milano. Abbiamo pensato così di proporre un identikit della compagnia, offrendo a chi legge alcuni interrogativi come primo spunto da cui partire.
Chi?
Il formicaio, come si sa, è caratterizzato da un’incessante “vitalità alimentare”: chi sosta nella fonte primaria e inesauribile di cibo, chi invece decide di continuare a cercare, nell’eventualità tale ricchezza dovesse un giorno venire meno. Curioso constatare come l’immagine di quella parte del formicaio perso in una ricerca ossessiva e indeterminata rientri fra le metafore attraverso cui Roger Bernat ha spesso descritto il proprio lavoro. Ma per capire le radici in cui affonda tale suggestione è necessario fare un piccolo passo indietro, infilandosi nelle pagine nascoste – si fa per dire – del diario di Roger Bernat.
La sua storia è, almeno al principio, quella di un outsider della scena teatrale: dopo essersi dedicato agli studi di architettura e di pittura – mai completati – Bernat studia – per quelle che lui stesso definisce come una serie di casualità – drammaturgia e regia all’Institut del Teatre di Barcellona dove si laurea aggiudicandosi il Premio Straordinario nel 1996. Nel primo periodo della sua carriera artistica fonda e dirige con Thomas Aragay la compagnia General Elèctrica. Si segnalano, tra alcune delle produzioni di questo periodo, El desig de ser dona (1996), Bona Gent Trilogia in 9 capitoli (2002), Amnesia de Fuga (2004); spettacoli nei quali inizia a farsi sempre più strada quel desiderio di guardare un “po’ oltre” che, oltre alle tematiche trattate, intaccherà poi anche le stesse convenzioni teatrali. Il 2008 è l’anno della rottura: Roger Bernat si distacca dalla formazione Elèctrica e fonda FFF (The Friendly Face of Fascism) il gruppo con cui lavora attualmente. A partire da questo momento si dedica completamente alla creazione di differenti performance partecipative, proponendo agli spettatori di divenire gli unici creatori e protagonisti del momento scenico, mediante l’utilizzo di particolari dispositivi tecnologici.
Perché?
Inevitabile interrogarsi, a questo punto, su quale sia stato l’elemento scatenante a spingere il regista catalano nel ricercare una via altra alla creazione convenzionale. La risposta pare rintracciarsi nel desiderio dell’artista di “trovare un modo di fare teatro che avesse un significato”, un’aspirazione che è coincisa con l’impulso ad allontanarsi da quelli che Bernat ha spesso definito come “apriorismi teatrali”, ovvero “le idee che ciascuna persona possiede, in modo spesso inconsapevole, nel proprio hard disk, in relazione al concetto di ‘teatro’”. Domini Pùblic (2008), primo esperimento di teatro partecipativo elaborato con FFF, è la traccia, l’emblema di quella rottura che lentamente si è tradotta nella possibilità tangibile di concepire la pratica scenica in maniera differente, proiettata verso la creazione di situazioni performative in cui ripensare l’essere sociale e politico di ciascun individuo. La ricerca del regista catalano nasce dal desiderio di trovare una particolare energia nel teatro definita da Bernat, in riferimento alla terminologia durkheimiana, come “effervescenza collettiva”, capace di motivare responsabilmente tutto il pubblico, coinvolgendolo attivamente all’interno della dinamica scenica.
Cosa?
La piazza di Domini Públic, diventa l’occasione per ripensare, in maniera ludica e ironica, l’identità e il ruolo del cittadino all’interno di un luogo pubblico, secondo un procedimento che, oltre alla sua valenza prettamente scenica, dimostra una valenza sociale e politica. I principali lavori elaborati dalla compagnia, dal parlamento di Pendiente de voto (2012) all’aula del tribunale di Please continue: Hamlet (2012), al reenactment di Numax-Fagor-Plus (2014), al macro-confessionale di We need to talk (2015), interrogano i meccanismi innati di auto-rappresentazione e auto-identificazione dell’individuo e della società tutta. In questo modo gli spettacoli della compagnia si traducono in sofisticate architetture progettate per e con gli spettatori, creando un frame di istruzioni e di domande tali da orientare l’individuo – non dissimili dalle procedure utilizzate dagli user all’interno del web – chiamato così a riflettere criticamente sulle sue azioni e, di conseguenza, sul suo ruolo all’interno degli ingranaggi sociali.
Come?
La partecipazione a cui si appella il gruppo catalano non deve essere vista come un procedimento dalle valenze comunitarie in senso utopico o ideologico: l’acronimo di FFF, “The Friendly Face of Fascism”, tradotto “Il volto amichevole del fascismo” denota come l’occhio del regista sia volto a considerare criticamente la partecipazione, soprattutto per le sue valenze riconducibili a logiche di derivazione totalitaria, capitalistica e manipolatoria. La pratica partecipativa origina così una sorta di grado zero per ripensare il teatro come uno dei pochi dispositivi critici all’interno della società contemporanea, mettendo a nudo i paradossi e gli enigmi di un’epoca post-digitale dominata da logiche sempre più partecipative e interattive. Secondo quanto afferma lo stesso Bernat: “Il vero attore è chi interpreta non chi agisce”. Si inscrive qui il limen sottile, labile, entro cui ripensare criticamente il significato proprio dell’azione e della libertà di scelta dello spettatore, temi attorno ai quali ruota l’intera creazione artistica della compagnia.
E poi…?
L’interpretazione come spazio di critica e di riflessione: forse sarà proprio questa, per il pubblico milanese, una delle prime regole del gioco da tenere a mente durante Domini Públic per sperimentare, nei differenti e ripetuti movimenti nello spazio, quella preventivata e metaforica “ricerca nel vuoto” descritta dallo stesso Bernat come spunto per nuove e inaspettate domande.
Carmen Pedullà
DOMINI PÚBLIC
di Roger Bernat
presso il Castello Sforzesco di Milano, nell’ambito del Focus Catalogna di Zona K _ 26-27 novembre 2016
Ideazione, direzione e testo Roger Bernat/FFF; coordinamentoHelena Febrés; una produzione La Mekánica / Apap (advancing performing arts projects), Teatre Lliure / Centro Párraga / Elèctrica Produccions, con il sostegno di Generalitat de Catalunya / Entitat Autònoma de Difusió Cultural – departament de cultura i mitjans de comunicació / Unione Europea / Programma Cultura 2007-2013; con il sopporto de Ministerio de Educación, cultura y deporte_INAEM