«A quei tempi non avevo visto niente del genere, ricordo di aver pensato che non avevo capito niente»: è così che una signora ricorda le prime proposte artistiche del festival MilanOltre, che dopo trentacinque anni ancora segue e frequenta. Ed effettivamente, nel 1986, anno della prima edizione del festival, il pubblico milanese frequentava soprattutto teatri di tradizione, con le loro proposte di balletto e opera. La collaborazione dell’associazione culturale Milano Oltre con il comune di Milano, con il Teatro di Porta Romana e con il Teatro Elfo spostò un po’ i riflettori verso le creazioni d’avanguardia del panorama coreografico contemporaneo. 

Spesso i cambi estetici e le novità in campo artistico attraversano una fase di repulsione da parte del grande pubblico. Molte volte si tende a rifiutare ciò di cui non possediamo gli strumenti necessari a comprenderlo, ciò che non riusciamo a inserire in categorie già note. Così, la creazione contemporanea ci risulta spesso privo di appigli, che, invece, possediamo nel caso di una qualsiasi versione del Lago dei cigni: di esso conosciamo la storia, sappiamo identificare i personaggi e i loro movimenti sono inscritti nel nostro immaginario comune sotto la voce “balletto” o addirittura sotto l’etichetta di “danza” in generale. L’identità artistica di alcuni teatri risulta, spesso, circoscritta alla scelta di opere del passato che fanno fatica ad essere affiancate da produzioni contemporanee di qualsivoglia genere o stile, più giovani e, quindi, anche meno conosciute. 
Le proposte di MilanOltre, in quel periodo, furono coraggiose perché proponevano qualcosa di visibilmente diverso, di inconsueto, di sconosciuto. E la direzione del Festival, firmata negli anni da Tomas Arana, Antonio Calbi, Luca Scarlini e dal 2010 a oggi da Rino Achille De Pace, era consapevole della necessità di educare la spettatorialità, di proporre dei percorsi di pensiero e delle chiavi di lettura che potessero rendere accessibili le opere a chi ne fruiva, con l’augurio di una visione dell’arte più ampia, che sempre meno fosse imprigionata dalle etichette formali del già noto.

La Fura dels Baus, M.T.M., foto di La Fura dels Baus Archive, MilanOltre 1995

È per questa ragione che la multidisciplinarietà iniziò a rappresentare il focus formale dell’intero Festival: dall’edizione del 1991, le proposte spettacolari furono accompagnate dalla rassegna cinematografica “Danze in video”, e a seguire negli anni emersero contaminazioni con i linguaggi della prosa e della musica. Le proposte si sono progressivamente rivolte ai linguaggi performativi ibridi esplorando un territorio coreografico giovane ed emergente, in continua ricerca e sperimentazione. Nell’ottica dell’istituzione di un dialogo con il bacino d’utenza di professionisti e addetti ai lavori, il Festival iniziò a introdurre workshop con gli artisti, laboratori e incontri mediati da critici ed esperti del campo. Nel 2012 l’attenzione rivolta alle giovani generazioni porta il Festival ad avviare una proficua collaborazione con le scuole.

In trentacinque anni MilanOltre non ha solo educato il pubblico milanese alla performance contemporanea ma ha anche sostenuto la produzione di una comunità di artisti che hanno potuto affacciarsi sulla scena nazionale grazie al Festival e che, ora, animano i cartelloni dei principali teatri del paese. Grazie alla funzione formativa assunta dal Festival e a quella di sostegno per la produzione artistica, la città è diventata uno dei fulcri di ricerca e creazione nella danza contemporanea.

Oggi, dopo trentacinque anni, la signora guarda ancora alcuni spettacoli di MilanOltre e, anche se inizia a capire qualcosa della complessità della danza, non rinuncia al desiderio di scoprire sempre qualcosa di nuovo e lasciarsi sorprendere. 

Shahrzad M.

foto di copertina: Lynda Gaudreau, Still Life n. 1, foto di Michael Slobodian, MilanOltre 2003


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