Per un artista, o una compagnia del Sud, è ancora difficile farsi conoscere nel resto d’Italia. È questo uno dei dati incontrovertibili da cui ha avuto origine la selezione delle drammaturgie inserite nella XIX edizione di Tramedautore: il Focus Sicilia, la rassegna all’interno della quale sono stati presentati gli spettacoli conclusivi del Festival, ha avuto l’obiettivo di offrire una risposta a questo tipo di esigenza, così da dare rilevanza ad autori poco visibili nel panorama milanese. E il palcoscenico che ha ospitato tutti i titoli di Tramedautore — il Piccolo Teatro — costituisce lo strumento più efficace per mostrarsi agli spettatori meneghini.
Volver, Storia di Giulietta e La veglia non sono stati scelti tuttavia con il semplice obiettivo di trasferire in Sicilia l’immaginario del pubblico (deludendo, forse, le aspettative di qualcuno); cercare un fil rouge drammaturgico che leghi i tre spettacoli risulta infatti un’operazione non banale. Eppure la Sicilia è riuscita comunque, in modi diversi, a emergere sottotraccia sulla scena e a farsi protagonista celata di quanto accaduto sul palco.
Volver, primo titolo della rassegna, scritto e diretto da Giuseppe Provinzano, risulta essere il più esplicito nei rapporti con la Sicilia: Messina è il punto di partenza e l’approdo ultimo di Nico e Rosetta, due fratelli che dopo il terremoto del 1908 si imbarcano per l’Argentina. Dalla sicula Siminzina fino al tango malinconico di Carlos Gardel, le musiche si fondono nei ricordi dolenti dei due protagonisti e tendono un filo che collega instancabilmente il Mediterraneo e l’Atlantico, la voce della madre che li aspetta indietro con i nuovi incontri d’oltreoceano.
Storia di Giulietta, di Beatrice Monroy, è invece una vicenda tutta libica: una madre e una figlia sono costrette ad abbandonare la propria casa in seguito al decreto di Gheddafi del 1970, che imponeva l’esilio agli italiani. Il collegamento, immediato, con le partenze odierne, per le quali la Sicilia è terra non più spaventosa ma desiderata, orizzonte non richiesto ma necessario, fonde nel racconto vite attuali e biografie del passato, accomunate dalle stesse speranze e dalle stesse paure.
Nella Veglia di Rosario Palazzolo non ci sono partenze, né viaggi o arrivi, né approdi o barche. C’è solo una madre. Una madre con una lingua unica, con un’inflessione siciliana e parole inventate. C’è una madre che si batte contro la bieca devozione rivolta al corpo di sua figlia, ormai morta e fatta santa. C’è una madre irriverente, scomoda, creativa, apprensiva, che si prende gioco del pubblico e lo mette alle strette. C’è una madre che chiude il quadro di questa Sicilia, e ne sbatte di fronte agli occhi del pubblico le mille sfaccettature.
Cecilia Burattin, Giacomo Fausti
al Piccolo Teatro Grassi in occasione di Tramedautore
Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico Trame d’inchiostro